Hero Light – Condividi gli Stereotipi

Con l’articolo di oggi torniamo sul tema alimenti. Niente merendine e niente prodotti da servire in famiglia, però. E di cosa parliamo, allora, che possa interessare questioni concernenti immagini e stereotipi di sui sessi? Presto detto. Parliamo di alimenti light. Il contenuto pubblicitario è (s)cortesia del marchio Hero con la linea Hero Light. Guardiamolo insieme.

La protagonista dello spot ci comunica che sua madre le ha detto che con un bacio si consumano 2 calorie e, pertanto, avendo baciato 10 volte quel dì, ha la possibilità di mangiare serenamente un altro cucchiaio di Hero Light alle fragole (che conta 7 calorie a porzione). Non è fantastico? Facciamo due chiacchiere, va’.

Per prima cosa, consentitemi di fare i miei più vivi complimenti per la saggia accortezza di sottolineare – in piccolo, come sempre si fa, ma l’importante è che lo si faccia, no? – che “Le affermazioni della mamma della protagonista non hanno carattere scientifico”. Ma quindi non è vero che con un bacio si consumano 2 calorie? Dannazione, toccherà trovare metodi alternativi per valutare quanti cucchiai di Hero Light consumare.

Fatta questa premessa, sono due i punti su cui intendo soffermarmi, essendo quelli che ritengo di maggior rilievo. Il primo richiama il tema trattato in un articolo di qualche mese fa, che potete trovare qui, e che si riferisce alla targetizzazione per sesso dei prodotti alimentari di tipo light. Come avrete notato osservando la pubblicità, ogni elemento che la costituisce chiarisce il fatto che il pubblico di riferimento siano le persone appartenenti al sesso femminile.

Si tratta, chiaramente, di una scelta di commercializzazione ideata sulla base di quale si ritenga essere la fetta di pubblico maggiormente vulnerabile all’idea di acquistare uno specifico prodotto. Tuttavia, ritengo che l’utilizzo dell’ovvietà delle decisioni di marketing come giustificazione che legittima qualsiasi cosa sia ingiusto, oltre che pericoloso.

Hero Light

Le donne non sono più vulnerabili a questo genere di pubblicizzazione in quanto donne, in modo intrinseco e naturale. Sono state rese più vulnerabili, per mezzo di opere educative che istruiscono (suggeriscono, invogliano e rendono desiderabile, se preferite) sin dalla tenera età a conferire particolare rilievo al proprio aspetto fisico, in rigida correlazione con gli standard e le aspettative dettati dall’esterno (e, in tal senso, in tempi moderni – perché non sempre è stato così – la magrezza è connotata come qualcosa a cui aspirare).

Ecco perché realizzare pubblicità che ignorano il peso culturale della comunicazione per curarsi unicamente (non si vuole consigliare di non curarsene affatto, si badi) del potenziale di profitto, costituisce un atto considerabile come scarsamente responsabile, sul piano sociale.

Avere a cuore la propria linea, sia per questioni di salute, atletiche o estetiche (queste ultime intese come quanto più possibile scevre di influenze culturali, per quanto arduo ciò sia reso dalle società in cui viviamo) è del tutto lecito per qualsiasi essere umano, qualunque sia il sesso di appartenenza. Dedicare una linea light al sesso femminile, in modo chiaro ed esplicito, taglia un’immensa fetta di pubblico (quella maschile) fuori dalla discussione, rendendo difficoltosa la potenziale integrazione – con la possibilità, sempre dietro l’angolo, che coloro per la cui mente baleni l’idea di acquistare il prodotto evitino di farlo perché gli provocherebbe disagio (com’è solo logico che sia in una cultura che comunica come svilente e svirilizzante, per gli uomini, tutto ciò che è stereotipicamente associato al femminile).

Allo stesso tempo, questa pratica rinforza la narrativa per cui le donne dovrebbero puntare alla magrezza, al controllo delle calorie (pare un’invito a sviluppare disturbi alimentari), a una regolazione dell’alimentazione volta a preservare un aspetto che sia percepito come convenzionalmente apprezzabile, desiderabile e ammirabile (dinamica che si collega direttamente al rinforzo dell’indesiderabilità della non magrezza). Il tutto a discapito del benessere di centinaia e centinaia di persone. Ma che ci importa di ostacolare ulteriormente il vivere bene e a proprio agio delle donne? Che ci importa che sempre più donne, e sempre più giovani, soffrano di disturbi alimentari? L’importante è vendere.

Ecco che, così, chi tende a buttare tutto sotto il tappetino dicendo e dicendosi che “Vabbè, è normale, dovranno pur vendere” sta fornendo il proprio appoggio a questa realtà. Un conto è riconoscerne l’esistenza, ben altro conto è scegliere di ritenerla accettabile, tollerabile e inevitabile – come implicano posizioni simili.

Hero Light

Il secondo fattore problematico è costituito dalla rappresentazione della protagonista.
Come se non bastasse relegare la targetizzazione di Hero Light alle donne, la figura che si è scelto di mostrare evidenzia delle caratteristiche peculiari ben distinguibili. In primis c’è il tocco di frivolezza, di cui è imbevuta la totalità della comunicazione pubblicitaria. La giovane donna è, con entusiasmo e gioia, presa dalla considerazione delle calorie consumate e dall’idea di poter mangiare un altro po’ di confettura Hero Light senza bisogno di provare sensi di colpa (diversamente facendo, secondo questa logica, ci sarebbe bisogno di provare sensi di colpa…). La ridicolezza della discussione è ulteriormente enfatizzata dagli esigui numeri di cui si parla.

Bene puntare sulla leggerezza del prodotto, sottolineando quante poche calorie abbia.
Ma a dir poco ridicolo ritrarre una donna adulta che si mette a contare il numero di baci dati per calcolare quante calorie le abbiano fatto bruciare e quante altre, dunque, possa permettersi sotto forma del prodotto in vendita…specialmente se stiamo parlando di un’insulsa manciata dei suddetti elementi. È fuor di dubbio che ne venga fuori l’immagine di una persona sciocca, a rinforzare uno dei diversi stereotipi affibbiati alle donne, viste come dominate da una prevalente superficialità. Mangia quella dannata confettura e smettila di ponderare assolute idiozie, verrebbe da dire alla protagonista – che nel frattempo sarà andata a comprare il Labellino.

La situazione non migliora con gli altri due spot della linea. In un caso la protagonista conta le calorie bruciate vestendosi, parlando di essersi cambiata tre volte – oh, queste donne e la fissa per i vestiti, eh? – e in un altro quelle bruciate facendosi dei selfie (ne ha fatti 8 quel giorno, per la cronaca).

Hero Light

In ultimo, invito a considerare l’elemento dell’infantilizzazione femminile, che come di consueto va a braccetto con quello della rappresentazione frivola. La protagonista dello spot è chiaramente una donna adulta, eppure si esprime alla stregua di una bambina, letteralmente. Basti soffermarsi già solo sulla fase iniziale dello spot, in cui esordisce – sempre con inquietantemente innaturale entusiasmo – con “Mia mamma dice che…”, per poi continuare parlando di calorie bruciate baciando, cambiandosi e facendosi selfie (la scoperta relativa ai selfie è merito di Paola, l’amica più fashion, per dirla con le parole scelte dal marchio nel descrivere lo spot. Giuro, potete controllare). Se in qualsiasi punto del discorso si aggiungesse un bel “gne gne gne”, il tutto suonerebbe perfettamente coerente e in linea con la comunicazione dello spot.

In conclusione, la pubblicità Hero Light si aggiunge a tante altre nel contribuire a inspessire le sbarre della gabbia socioculturale che mantiene le donne intrappolate, rafforzando al contempo stereotipi sui sessi correlati ai temi dell’estetica e non solo. Pessimo spot, comunicazione socialmente dannosa, bocciatura completa e radicale. Consiglio al marchio di provare a sviluppare narrazioni d’altro tipo per comunicare la leggerezza del prodotto, possibilmente senza limitarsi al pubblico femminile.

Anche per stavolta è tutto. Alla prossima e, mi raccomando, occhio agli spot!


SEGNALAZIONE E COMMENTO

L’espressione dell’opinione relativa agli spot – spesso più della segnalazione degli stessi – può essere cruciale e determinante nello stimolare i marchi a muoversi verso una direzione pubblicitaria diversa, più progressista e socialmente responsabile. Poiché l’unione fa la forza, come diversi casi hanno in passato dimostrato, invito tutti a prendersi il tempo per lasciare commenti sulle pagine ufficiali e/o inviare email ai marchi interessati. A seguire, i dati per lo spot menzionato nell’articolo:

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