Nella Mia Sessualizzazione, c’è Chilly

Certa che vi siano mancati, oggi torno a parlarvi di prodotti per la cura del corpo. Relativamente ai temi del blog, le problematiche più comuni in quest’ambito pubblicitario sono la genderizzazione innecessaria e la sessualizzazione gratuita. Di quale dono ci avrà fatto la grazia Chilly, con il suo spot estivo? Shhh, lo so che il titolo anticipa, ma facciamo finta di no.

Assolutamente estasiata, una giovane donna ci annuncia che nel suo intimo c’è Chilly. Ondeggiando braccia e sedere, la protagonista si avvia gioiosamente verso la doccia, culla la confezione di Chilly evidenziando le curve del seno e ridendo smodatamente, poi si sorregge il seno, carezza pube, cosce e glutei – curandosi di mostrarci tutto perché sì! Arriva una seconda giovane, anche lei ancheggiante e felice di usare Chilly. Lo spot si conclude con la consueta immagine della confezione di Chilly sovrapposta al pube di una ragazza. Parliamone.

Lasciate che faccia un respiro prima di cominciare. Okay. Fatto.
Il problema principale e maggiormente gravoso dello spot è la rappresentazione femminile e, più in particolare, l’oggettivazione femminile.

Alla protagonista dello spot non è neppure concesso di camminare in modo naturale e casuale. Ancheggia, sculetta, spostando vistosamente i fianchi di qua e di là, così da mettere in evidenza quanto più elevata il sedere, che sembrerebbe essere ciò su cui i pubblicitari Chilly desiderano porre l’attenzione.

Ci spostiamo sotto la doccia, dove prosegue l’assurdità della proposta pubblicitaria, con la ragazza che si esibisce in movenze del tutto anomale e che in alcun modo ritraggono l’esperienza di lavaggio di una persona. Non culliamo le confezioni di detergente mosse da inspiegabile estasi, né ci reggiamo il seno mentre riponiamo i prodotti. Perché dovremmo? Siamo sotto la doccia a lavarci. Ma la ragazza dello spot non è sotto la doccia a lavarsi; è sotto la doccia a mostrarsi al pubblico, in qualità di presenza sessualizzata. Ecco quindi che il focus non è il prodotto, ma il corpo della ragazza, che non è una persona, ma un bocconcino.

Chilly
“Riuscite a vedere cosa c’è nel mio intimo?
No? Mannaggia. Vorrà dire che dovrò togliere anche gli slippini. Che peccato peccatino.”

Se la giovane fosse stata al naturale (ma la mistica donna naturale non esiste nelle rappresentazioni mediatiche, perché abbiamo culturalmente deciso che ci fa schifo e ci facciamo andar bene la decisione), saremmo stati a un passo dal vedere qualche simpatico pelo pubico. Serve davvero che arrivi io a dirvi che c’è qualcosa che non va? La domanda è retorica, perché so che serve. E serve perché siamo talmente abituati e assuefatti alla vista del corpo femminile sessualizzato, che siamo arrivati al punto in cui fatichiamo a riconoscerlo come problematico quando inserito in ambiti non pertinenti (ossia qualsiasi ambito che non abbia specificatamente a che fare con l’erotismo), o addirittura fatichiamo anche solo a riconoscere la sessualizzazione come tale. D’altronde, essendo stato reso elemento normale e ovvio, è solo naturale essere portati a non percepirlo come un problema.

Ora fermiamoci un attimo.
Fermiamoci e proviamo a pensare a un’impostazione identica per lo spot di un detergente intimo da uomo o, meglio, un semplice detergente doccia per chiunque ma con protagonista un uomo, che all’Italia l’igiene e la salute intima maschile non interessano. Immaginiamo le mani del protagonista che scorrono sul petto, scendono verso le cosce, ruotando sinuosamente senza mancare di mostrarci l’enfatizzata silhouette dei suoi testicoli (che indubbiamente avrebbero notevole focus con inquadrature come quelle riservate alla ragazza), circondati da glutei pieni e sculettanti, per il piacere della vista del pubblico.
Sarebbe assolutamente appropriato, giusto? Sarebbe assolutamente necessario, giusto?

Dopotutto, stiamo parlando di un prodotto da usare sotto la doccia. È solo naturale che la figura protagonista sia nuda e sia sotto la doccia, no? Un corno.

Chilly
“Ciao, questa è un’inquadratura assolutamente necessaria e la mia è una posizione perfettamente naturale. Dai, che quasi quasi si vede il capezzolo!”

Bisogna che ci mettiamo bene in testa, prima di impegnarci ad attingere annaspanti al pozzo di scusanti generato dal sessismo interiorizzato da cui nessuno e nessuna è del tutto immune, che la natura del prodotto da pubblicizzare non è intrinsecamente determinante degli elementi che caratterizzano il metodo di pubblicizzazione. Cosa significa?

Significa che non solo un detergente doccia può essere pubblicizzato in completa assenza di nudità (l’importante è che gli aspetti narrativi chiariscano utilizzo e benefici) ma che, anche qualora si scelga di inserire la nudità, è responsabilità dell’azienda – e non una mistica inevitabilità su cui non si può far e dir nulla – stabilire come impostare l’esposizione di questa nudità, come inquadrarla e quanto a lungo inquadrarla.

La sessualizzazione non è mai inevitabile. È sempre una scelta. Nello spot Chilly si è scelto di far sculettare la ragazza, si è scelto di indugiare sul suo sedere sculettante, si è scelto di porre enfasi sui suoi seni, si è scelto di far muovere il corpo in modo tale che fossimo sul punto di scorgere la visione della zona genitale della protagonista. Per far capire ancora meglio, lasciate che vi porti l’esempio della pubblicità della Mousse Dove1, caratterizzata da assolutamente ZERO sessualizzazione pur mostrando doccia, ragazza che si lava e ragazza in accappatoio. Incredibile, eh? Per niente. È sufficiente che manchi l’arbitrario intento di sessualizzare.

Chilly
“Ciao. Questa è un’inquadratura che comunica con chiarezza l’assoluta efficacia di Chilly. La continuazione vi aspetta su YouPorn”.

Quello che fa lo spot Chilly è rivolgersi in modo esplicito a un pubblico femminile, dipingendolo con i colori e i pennelli dello sguardo maschile; lo stesso sguardo con cui abituiamo anche ragazze e donne a guardare tanto sé stesse quanto le altre, in un mondo-orchestra mediatico e non che continua a essere diretto dagli uomini (peraltro anch’essi a loro volta diretti, essendo la visione della donna come oggetto sessuale in ampia parte un prodotto culturale). Ecco che non c’è sorpresa nel leggere che i commenti allo spot sono prevalentemente maschili e riguardano l’avvenenza del sedere della modella e il desiderio di tramutarsi in Chilly. Insomma, ottimo lavoro nell’aver reso la donna ancora più un oggetto di quanto già fosse agli occhi di troppi. Quanto ce n’era bisogno.

Già che ci sono, mi permetto di fare un altro appunto.
Che bisogno c’era di utilizzare più di una protagonista? Non ne sarebbe bastata una sola?
Se l’azienda si fosse curata di presentare una rappresentazione diversificata (per età, corporatura o etnia, per esempio), avrei compreso e anche positivamente accolto la presenza di più di una ragazza protagonista – elemento che ovviamente non avrebbe eliminato la restante problematicità della comunicazione – ma non è quello che avviene. Ecco a voi non una, ma ben due ragazze ritenibili attraenti e appetibili in concordanza con i canoni socialmente stabiliti. Guardate che bel seno, guardate che bel sedere, guardatele come sono sexy mentre vi volgono le spalle, felicissime e soddisfatte dell’utilizzo di Chilly. Forza! Andate a comprarlo! Per favore favorino!

Con molta franchezza, se c’è un tipo di desiderio che questo spot può far sorgere – in chi favorevolmente disposto in tal senso e nel giusto mood al momento della visione – non è quello di acquistare Chilly. Sono sicura di rendere l’idea.

Chilly
“Ciao! Non sono adorabile? Vi fo’ pure gli occhi dolci! Dai, che se fate i bravi e le brave nel prossimo spot vedrete i miei di lati A, B, C, D, E (…).”

All’azienda consiglio vivamente, ma davvero di tutto cuore, di dare un taglio completo all’integrazione della sessualizzazione, anche perché l’invito a oggettivare le donne arriva già da così tanti fronti che quantomeno chi si propone di curarsi della salute intima del sesso femminile potrebbe risparmiarsi di contribuire. Farlo comunica un messaggio curiosamente contraddittorio. Ne approfitto anche per consigliare l’estensione del target pubblicitario anche agli uomini, in particolar modo visto che i prodotti sono già teoricamente e praticamente neutri e adatti a vari tipi di pelli e mucose. Non c’è ragione alcuna per limitare la pubblicizzazione al solo pubblico femminile.

Per il momento, il mio intimo con Chilly non vuole averci niente a che fare.
Se volete comunicare la vostra all’azienda, vi invito a cliccare sui link sottostanti.

Alla prossima e, mi raccomando, occhio agli spot!


SEGNALAZIONE E COMMENTO


1 Lo spot merita menzione positiva esclusivamente perché esiste il filmino erot-ehm, lo spot Chilly. Di per sé, oltre a rammentarmi dello spot del Labellino per via di colori e ritmo, pecca della solita problematica della genderizzazione.

Precedente Sky Sport - I Migliori Sport. I Peggiori Spot. Successivo Ace Gentile - Ogni Giorno Scelgo gli Stereotipi