Kinder Pinguì – La Donna ci Piace Così

Per la coerenza e la costanza delle dinamiche stereotipate delle sue comunicazioni, al tempo dedicai un post-raccolta a quest’azienda. Da allora però, è uscito qualche altro spot, che non si è per nulla discostato dai precedenti. Anzi, se possibile, aggiunge in negativo. Guardiamo insieme la nuova pubblicità di Kinder Pinguì.

Sulle note di un’allegra canzone osserviamo una donna lasciare il posto di lavoro, pedalare insieme a figlio e figlia, prepararsi a portare fuori il cane, raccogliere i panni da lavare. Ma niente può rovinare il suo buonumore, che contagia anche i vicini. Meno male che c’è Kinder Pinguì che le permette di togliersi dalle sca—tenere bimba e bimbo occupati mentre si gode un momento per sé (poi raggiunta dai vicini). Parliamone.

“Ogni giorno lavoro, corro,
a casa son mille le cose che ho da fare.
E niente può rovinare il mio buonumore.”

Questo è il testo della canzone che accompagna le vicende dello spot.
Potrei chiudere l’articolo così, volendo.
Non lo farò giusto perché mi piace scrivere. Ma se non avete voglia di leggere, sappiate che la canzoncina vi dice tutto ciò che c’è da sapere sul fatto che questa pubblicità perpetua con forza e chiarezza il modello sessista di donna che fa tutto a casa, fuori e con i figli, senza mai stancarsi e senza mai apparire scontenta o insoddisfatta (neppure quando i vicini la raggiungono contagiati dal suo strabordante buonumore e dal richiamo di Kinder Pinguì).

Kinder
“Acciderbolina! Panni per me? Evvai! Adoro il bucato! Yahhoo!”

Sebbene la canzoncina da sola basti e avanzi a comunicare il messaggio, lo spot Kinder Pinguì la accompagna a immagini che ne fanno da perfetto contorno. La protagonista si districa tra diverse faccende senza mai perdere il sorriso, neppure quando il suo momento di relax (con l’immancabile inquadratura delle labbra che si accingono ad accogliere il prodotto) viene interrotto. È contenta del fatto che tutte le responsabilità ricadano su di lei. È contenta di doversi occupare delle faccende domestiche, è contenta di doversi occupare del cane, è contenta di doversi occupare dei bambini.

A mancare nel quadro Kinder, come al solito è l’uomo, il padre, il marito, il casaling—vedete, la figura è talmente inesistente che fa strano anche solo pensare di scriverne il titolo. A lui non spetta nulla dell’esperienza di vita attiva tra le mura domestiche. Non deve occuparsi di fare il bucato, non deve occuparsi del cane, non deve occuparsi dei bambini. Deve solo occuparsi di lavorare per portare la pagnotta a casa, da bravo modello di maschio patriarcale. E la divisione dei ruoli è accuratamente proiettata anche sul bambino e sulla bambina. Mentre lei già si adopera con le faccende e mette i panni nella cesta, lui è fuori a giocare. Entrambi già avviati all’addestramento a quel che sarà.

Kinder
“Vado a lavoro, pedalo coi pupi, passeggio col cane, metto a fare il bucato, pulisco qui, spruzzo là, faccio la pinguina, e poi! Non ci vedo più dalla fame! Chissà come sarà stanco il maritino, povero cuore mio, colonna portante della nostra ariana famiglia.”

Questa volta, al ruolo di casalinga, moglie (è SEMPRE implicitamente presente, nessuna azienda intende rappresentare donne single con figli, ma vi mando un tenero abbraccio se vi è mai capitato di peccare di questo tipo di ingenuità) e madre, si unisce anche quello di lavoratrice. Lasciate che vi faccia notare un piccolo dettaglio, che forse avete già colto.

Nello spot, c’è solamente un momento in cui la nostra protagonista non è felice.
C’è soltanto una cosa che compromette il suo buonumore: il lavoro.
Il messaggio che la proposta di una simile immagine invia, a contrasto con il resto, è limpido e chiaro. La felicità della donna è a casa. Se lavora è per mera necessità, non per realizzarsi, per esprimere la pienezza delle proprie capacità o per offrire un contributo alla società.
Poi torna a casa, fa il bucato, lava, stira, si cura di figli e figlie, ed ecco che si riaffaccia la gioia della sua femminile esistenza, il destino segnato dal set vulvo-uterino consegnatole in dotazione alla nascita.

Kinder
“Ma che tristezza. Ma che mestizia. Il cielo non è più blu. Il cuore non batte più. Dov’è la mia felicità? Io non voglio lavorà. Sono una donna, a casa è il mio posto. Ho già un’idea per condire l’arrosto.”

A rendere particolarmente forte il quadro sessista rappresentato nello spot Kinder Pinguì è il tema sotteso della glorificazione del multitasking associato all’esistenza femminile (così come suddivisa nei ruoli determinati dai modelli di genere della nostra cultura). La donna può fare tutto, tutto insieme, e può farlo con il sorriso sulle labbra. Quello che agli sguardi meno attenti – e forse anche più meritevoli di conferme, apprezzamento e riconoscimento (non a caso come società educhiamo le bambine a divenire donne bisognose di conferme, apprezzamento e riconoscimento;) – può sembrare un complimentarsi per ipotetiche qualità superiori, è nient’altro che il più subdolo inganno, volto a rendere le catene lievi al punto tale che portarle diverrà fonte di gioia e orgoglio.

Nulla di intrinseco nel sesso femminile rende maggiormente capaci degli uomini nella gestione di più ambiti della vita quotidiana. Nulla di intrinseco nel sesso maschile rende meno capaci delle donne nella gestione di più ambiti della vita quotidiana. Questo genere di convinzione è specificatamente e arbitrariamente introiettata per proseguire nell’affibbiare l’interezza delle responsabilità domestiche e di cura alle donne, con un pizzico di glassatura color pastello che le convinca di essere felici di portare il fardello da sole. E sebbene possa permanere in eterno come facciata, sotto sorrisi e allegri racconti, la glassatura si crepa anche per le donne più impavide e determinate. A risentirne saranno la salute fisica e mentale propria, quelle di eventuali figli/e, e l’ambiente familiare tutto. E sarà qui che, in un per nulla inaspettato twist, verremo incoraggiati a puntare il dito contro quelle stesse donne, invece che contro il sistema che le ha incatenate e condannate.

Kinder
“Povera donna…”. Questi sono Gino e Gina. Sono l’unica cosa carina dello spot. Guardate che belli Gino e Gina che pittano il capanno insieme. E okay che disturbano il suo relax, ma almeno offrono a Protagonista un po’ di distrazione dalla sua esistenza di casalinga-lavoratrice-genitrice fintamente entusiasta.

Un quadretto cupo? Sì, ma anche realistico. E farà sempre più fatica a smettere di esserlo se pubblicità come quella Kinder Pinguì continueranno a proporre, imbellito di meschina e falsa positività, questo essere famiglia in cui la partecipazione attiva maschile è aliena (e comunicata come naturalmente tale) e il peso del tutto è fonte di gioia per la donna, in una drammatica e pericolosa esaltazione di un predestinato sacrificio.

Riusciremo mai a vedere uno spot Kinder in cui un padre svolge le azioni che vediamo continuamente ed esclusivamente espletate da una madre? Ad augurarmelo me lo auguro, ma devo ammettere di non riporre molte speranze in questa azienda (l’impostazione familiare è rimasta invariata dagli anni ’90 anche solo per questo prodotto specifico. Qui e qui per vedere da voi). Se nel frattempo volete comunicare la vostra opinione, potete farlo cliccando sui link qui in basso. Alla prossima e, mi raccomando, occhio agli spot.


SEGNALAZIONE E COMMENTO

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