L’oggettivazione è arrivata nei 3 Store

A me l’attenzione, lettrici e lettori. Quest’oggi tratteremo un ambito che, se la memoria non m’inganna (e potrebbe ingannarmi), non ha ancora fatto il suo ingresso all’interno del blog: la telefonia. Il dono pubblicitario ci è stato fatto da 3. Guardiamolo.

Una signora elegantemente abbigliata sfila per le vie della città, mentre un signore casualmente abbigliato è fermo all’interno di un negozio a fissare lo schermo del suo telefono. Per qualche ragione un giovane uomo si volta a seguire la signora sfilante, mentre due ragazze decidono di fotografarla. Le acque dei presenti e delle presenti si aprono al passaggio della protagonista, che raggiunge il signore e gli toglie il telefono dalle mani. Tutto ciò per promuovere le offerte tariffarie della gamma 3, che consentono di ottenere iPhone XR con anticipo zero. Lo spot è prodotto da The Family, per l’agenzia WHAM e con la regia di Matteo Bonifazio. Parliamone.

Oltre a confermare il calciatore Giorgio Chiellini come testimonial, 3 ha deciso di affiancargli la modella rumena Madalina Ghenea, che in questo spot è presentata nelle vesti di una donna misteriosa. Qua la mano a chi tra voi, come me, ha scarsa familiarità con entrambi e in particolare con lei. Senza Google non avrei mai saputo. Ma questo ci interessa molto relativamente.

La modella è la protagonista indiscussa dello spot. È la figura che seguiamo e delle conseguenze delle cui azioni (camminare in direzione di qualcosa) siamo incoraggiati e incoraggiate a interessarci. Chiellini sarebbe potuto essere chiunque, un qualsiasi uomo semplice e con barba incolta, e non sarebbe cambiato granché nella sostanza della comunicazione visiva – salvo per chi lo conosce, si intende. Ma lei no. Lei non sarebbe potuta essere una donna qualunque. Il fatto che incarni un ben specifico modello estetico femminile – reputato attraente secondo gli standard culturali attualmente dominanti – è assolutamente cruciale relativamente al fatto che sia stata scelta e relativamente al peculiare ruolo che interpreta.

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“Ammazza che figo quel cappottino.”

Qual è il ruolo che interpreta? Presto detto.
È la femmina che risulta irresistibile senza (apparentemente) tentare di risultare tale, ma già solo limitandosi a camminare e far le sue cose. È l’acchiappa-sguardi che degli sguardi si bea, che si illumina di una sicurezza che par generarsi dall’effetto che il suo apparire esercita sugli altri. I suoi valori l’avvenenza, il portamento, la sensualità. E cosa fa lo spot con questo modello di donna? Ce lo comunica come ideale. Come? Presto detto.

Questo particolare aspetto è portato in scena dalle reazioni, rispettivamente maschili e femminili, cui viene dato maggiore spazio, entrambe connesse con funzionalità telefoniche. Il primo è un giovane uomo che, sebbene sia impegnato a parlare a telefono, non riesce a non seguire la modella con lo sguardo, aggiungendo un sogghigno marpione. Poi abbiamo due ragazze che decidono di fermare la signora per fotografarla (peraltro condotta piuttosto strana; sarebbe stato più ragionevole farsi una foto insieme, ma ehi, chi sono io?).

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Riusciranno, le nostre giovani donne, a realizzare l’ambizioso sogno di divenire donne che mozzano il fiato del passante medio? Lo scopriremo nel prossimo episodio di “Ferma e Fotografa la bella Passante, poi Affiggi la Foto in Cameretta e alla Sera Prega Gesù e la Madonnina di Svegliarti Come Lei il Mattino Successivo”.

Insomma, questa donna è sessualmente attraente per gli uomini e fonte di ammirazione per le donne. La retorica del “le donne vorrebbero essere lei, gli uomini vorrebbero stare con lei”.
Una conseguenza meramente logica del costrutto trasmesso da narrative simili, è che le ragazze vengano portate ad aspirare a divenire figure attizza-libido maschile. Poiché il tutto è abbellito dal senso di effimera ma apparentemente potente sicurezza dato dal rendersi attraenti per gli uomini (per ciò che gli uomini sono stati abituati a percepire come attraente in una data cultura in un dato periodo storico, si intende – noi veniamo man mano addestrate coerentemente), non è difficile ingannare e – perché no? – anche ingannarsi, pensando che sia atto emancipatorio1.

3 ce la mette tutta a enfatizzare l’avvenenza della modella – che è così comunicato come elemento per noi da percepire aspetto chiave della pubblicità. Dal lento primo piano di lei che sorride con capelli fluenti da pubblicità dello shampoo, all’inquadratura delle gambe e delle comodissime scarpe, alla sfilata sul marciapiede, fino all’ingresso trionfale con decolleté in vista – parrebbe si muoia di freddo, ma i pubblicitari non possono rinunciare a mostrarlo! – tra gli sguardi di ammirazione delle clienti e quelli di interesse sessuale dei clienti, in un caso evidenziati anche dalla mano sul volto (anche se, ditemi quello che volete, ma secondo me anche la ragazza col giubbino di jeans sta fissando il sedere della modella. Ragazza col giubbino di jeans, contattami per farmi sapere se ci ho visto giusto).

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“Che gioia, che gaudio.
Tutti mi vogliono, tutte mi ammirano. Sono così realizzata e mi sento così forte del mio valore e delle mie qualità di persona!”

E se alla protagonista non bastava incarnare il modello di bella fatale voluta e ammirata, con la scena finale si becca anche un ulteriore stereotipo. Diciamolo chiaro chiaro. È una grandissima stronza. Quel povero uomo qualunque di Chiellini (mi perdoni Chiellini. È per enfatizzare la differenza di standard nella selezione dei testimonial – magari avessimo più donne qualunque negli spot) se ne sta tranquillo a guardare la partita al telefono, e lei arriva e glielo prende di mano. Come se nulla fosse. Esser attraenti secondo gli standard, provocare improvvise fuoriuscite di saliva e destare ammirazione non è un lasciapassare per comportarsi in modo irrispettoso. Non mi pareva avessimo bisogno di altri rinforzi del legame bella e stronza – amatissimo dai più appassionati misogini della contea.

Sarebbe stato bello se 3 fosse riuscita a integrare la presenza di Madalina Ghenea come testimonial senza fare leva esclusiva sul suo aspetto, senza costruire una narrativa basata su lei come oggetto di desiderio. Purtroppo non è accaduto, e ci ritroviamo alle solite, per quanto riguarda la rappresentazione femminile. Inoltre, l’azienda è consapevole del fatto che lo spot renda la modella prodotto. Il/la social media manager ha invitato un utente ad affrettarsi, ‘ché se è fortunato troverà la modella nello Store. Al chiedere – di lui – se c’è una cena inclusa, ha risposto che per ora no, ma mai dire mai. Uno scambio leggero, certo, ma che ci parla sia dello sguardo dello spettatore che di quello dell’azienda. Ancora, sul sito web. Lui spontaneo, leggero, semplice, casual, naturale. Lei…sexy, in posa plastica e quanto meno naturale possibile. Uomo e donna per 3.

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“Quanto so figa, quanto so bella. Sì, illuminatemi e mangiatemi coi vostri sguardi, plebei e plebee, mentre mi avvio verso il mio nobile obiettivo: prendere quel che…non è mio. Bionda, guarda che percepisco che stai a guardà il popo’, eh. Fai, fai. E voi qua davanti! Non guardate la scollatura, nè! Come dite? È in primo piano quindi l’occhio casca pur non volendo? Ah. Vabè. Torniamo a me che come nulla fosse rubo l’iPhone sotto il naso del calciatore con la mia figaggine.”

Prima di lasciarvi, ci tengo a fare un piccolissimo appunto sulla manifestazione di interesse.
Non che serva che arrivi io a dichiararlo, ma è del tutto possibile essere attratti e attratte da persone viste per strada. È normalissimo e non ha nulla di intrinsecamente negativo. Né tantomeno è qualcosa che scegliamo di fare. Succede. Quello che scegliamo, però, è se mostrare e – soprattutto – come mostrare l’interesse. Sogghignare come killer in un film horror, portarci le mani alla bocca come se stessimo guardando una preda, fissare insistentemente…queste sono tutte cose che scegliamo di fare. E sono scelte irrispettose, che possono provocare disagio o timore e che, molto più che interesse, comunicano inappropriatezza e incapacità di guardare e considerare l’altra persona come essere umano fatto e finito. Sono atti di riduzione a pezzi di carne, che non fanno sentire più felici, sicure o apprezzate, per quanto ci si impegni a cercare di convincere (e pure qui anche convincersi, a volte) del contrario.

Orbene, mie e miei prodi, direi che è giunto il momento di chiudere. Se avete voglia di comunicare la vostra all’azienda, date un’occhiata ai link in fondo all’articolo.


SEGNALAZIONE E COMMENTO


1 Va specificato che qui non sono in discussione scelte di abbigliamento o di comportamento prese da donne reali per sé e su di sé, bensì decisioni prese da aziende per rappresentare le donne. Non facciamo l’errore di confondere (a loro farebbe molto piacere se lo facessimo), perdendo così di vista il problema.

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