Salute? L’estetica vende di più. (Onilaq)

Lo spot di oggi non riguarda pulizie o merendine, né tantomeno bambini o, in senso stretto, prodotti per la cura dell’aspetto. La ragione per cui lo trovo non solo particolarmente dannoso, ma anche perfetto rappresentante di una delle più grandi problematiche legate anche agli stereotipi di genere, la spiegherò a breve. Per prima cosa, procediamo con la visione della pubblicità di Onilaq:

Il prodotto pubblicizzato nello spot, Onilaq, appunto, è un vero e proprio medicinale (a base di Amorolfina, un composto con proprietà fungistatiche che fungicide) che si occupa di trattare l’onicomicosi, meglio nota come micosi delle unghie, un problema piuttosto diffuso, e spesso sottovalutati, sia tra donne che tra uomini. A sorpresa, forse, stavolta il fulcro problematico dello spot non è la scelta di utilizzare un soggetto femminile. Non lo è perché, salvo eccezioni (l’igiene intima, ad esempio), a differenza di quanto avviene per pubblicità di prodotti di altro genere (gli ambiti di sovente trattati nel blog: pulizia, alimenti per bambini, cura del corpo e dei capelli), in quelli legati a problemi di salute è già presente una relativa varietà per quanto concerne il sesso dei protagonisti.
Ma allora dov’è il problema?

“Vorrei mettere queste scarpe aperte, ma non posso. Ho una micosi alle unghie”.
Ecco dov’è il problema.
Lo spot rappresenta l’onicomicosi come meritevole di cura e attenzioni in quanto ostacolo al raggiungimento dello stato di apparenza desiderato.
Questa dannata micosi alle unghie è un cruccio, per la protagonista, perché le impedisce di mettere le scarpe aperte che vorrebbe indossare per sfoggiare i suoi piedi.
Ma aspettate un attimo. Forse sto correndo io. Magari l’onicomicosi non è una condizione problematica e con rischi e l’unico effettivo danno che comporta è la compromissione dell’aspetto delle unghie. In tal caso non sarebbe poi così strano che lo spot scelga di focalizzarsi proprio su quello, per pubblicizzare un medicinale.

E invece no.
Oltre al potenziale di estendersi ad altre parti del corpo e di essere contagiata (proprio così!), la micosi delle unghie può comportare l’onicolisi (il distacco delle unghie) e, in soggetti che soffrono di diabete o presentano difese immunitarie indebolite, può addirittura provocare disfunzioni irreparabili al sistema circolatorio e indurre infezioni micotiche ad altri organi che rischiano, nei peggiori dei casi, di risultare fatali.

Ciononostante, Onilaq ha deciso di puntare su una campagna pubblicitaria che sottolineasse l’importanza di curare questa patologia in quanto ANTIESTETICA.
Chi se ne frega dei rischi. A noi importa mostrare i bei piedini.

So già cosa, forse, stanno pensando in molti e in molte in questo momento.
Qualcosa sulla scia di “Ma è logico, è una questione di marketing. A loro interesse vendere“.
E sia chiaro. Asserire una cosa simile unicamente al fine di riconoscere l’intento che può celarsi dietro l’immaginario di questo spot non è strano e neppure errato.
Quello che è profondamente sbagliato, invece, è utilizzare questo genere di sentenza come giustificazione o scusante.
Perché? Perché farlo vi rende complici della dinamica che permette a questa realtà di permanere come tale. Complici della dinamica che prevede come più verosimile e sensato pubblicizzare un medicinale non come trattamento di una patologia in quanto rischiosa e pericolosa, ma come trattamento di sintomi antiestetici.

Piuttosto fermiamoci e chiediamoci: Perché Onilaq ritiene che sia più vantaggioso pubblicizzare il medicinale sottolineando il suo valore estetico? Perché una donna con micosi alle unghie può arrivare a preoccuparsi di più dell’aspetto spiacevole delle sue unghie, piuttosto che dei rischi per la salute provocati dalla malattia?

Il problema è proprio lì. Nessun individuo sano di mente e non indottrinato alla cultura dell’apparenza e della bellezza a tutti i costi darebbe più rilievo all’aspetto di un’unghia, invece che alla compromissione del suo stato di salute (sarebbe illogico, insensato, controproducente e platealmente stupido). Provate a convincervi di quel che volete, ma nessuno, in modo del tutto naturale e spontaneo, in assenza di condizionamenti, troverebbe il non poter mettere scarpe aperte il cruccio principale e prioritario scaturito dall’onicomicosi (detto ciò, non c’è nulla di intrinsecamente negativo nel desiderare di mettere scarpe aperte o prendersi cura dell’aspetto dei propri piedi, ovviamente).

Onilaq. Salute o estetica?

Il fatto che, senza difficoltà alcuna, venga percepito come normale che alla donna media interessi di più l’impossibilità di indossare scarpe aperte, tanto che a Onilaq è sembrato naturale puntare su quel tipo di messaggio, evidenzia un problema insito in grande profondità nella nostra cultura. È la società, la cultura che abbiamo creato, a rendere possibile e ‘normale‘ tutto questo.
Ma accettare passivamente il problema, legittimando i marchi dei prodotti alla pubblicizzazione priva di responsabilità sociale, ci rende del tutto complici della sua perpetuazione.

Il mio consiglio, davvero sentito, è quello di impegnarvi a non usare mai espressioni come “ma è normale, lo fanno per vendere di più” come giustificazioni. Usatele pure come base e spunti di riflessione, per carità, ma mai come giustificazioni.
Basta con questo dare carta bianca per qualsiasi scelta ai marchi, pensando che tanto sia logico che il loro interesse sia quello di vendere e che ogni decisione presa in tale direzione sia passabile. Basta. È lecito, più che lecito, da parte di noi spettatori, consumatori e cittadini pretendere che venga considerato l’aspetto della responsabilità sociale. Non c’è ragione alcuna per cui le agenzie pubblicitarie debbano essere sollevate da questo elemento, non quando hanno il potere di rinforzare e supportare convinzioni e concetti dannosi già fin troppo intensamente assimilati nella nostra cultura.

Questo non vale solo per Onilq, il prodotto numero uno per chi desidera sfoggiare scarpe aperte, ma anche – potenzialmente – per qualsiasi altro genere di prodotto che viene pubblicizzato in modi specifici con l’intento di vendere di più (rientrano in questa categoria tutte le tipologie di genderizzazione). Chiedetevi sempre perché si pensa che un prodotto venda di più in un dato modo. Cercate di capire se la cosa è riconducibile a specifiche realtà culturali e sociali. E se notate che la dinamica pare scaturire da convinzioni e concetti discutibili, problematici, dannosi e/o sessisti, assicuratevi di non tenere le vostre conclusioni per voi. 😉


Se soffrite di onicomicosi e siete alla ricerca di un’alternativa a Onilaq, vi propongo qualche nome, lasciando poi a voi – concedetemelo – il compito di approfondire, se volete:
Locetar (a base di Amorolfina, come Onilaq)
Trosyd (a base di Tioconazolo)
Batrafen (a base di Ciclopirox)


SEGNALAZIONE E COMMENTO

L’espressione dell’opinione relativa agli spot – spesso più della segnalazione degli stessi – può essere cruciale e determinante nello stimolare i marchi a muoversi verso una direzione pubblicitaria diversa, più progressista e socialmente responsabile. Poiché l’unione fa la forza, come diversi casi hanno in passato dimostrato, invito tutti a prendersi il tempo per lasciare commenti sulle pagine ufficiali e/o inviare email ai marchi interessati. A seguire, i dati per lo spot menzionato nell’articolo:

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