Unieuro – Fra tanti fuoritutto, quello più stereotipato

Giacché mi è venuto il dubbio che poteste essere in astinenza da meravigliosi spot di elettrodomestici, arrivo in vostro soccorso. Per l’ennesima volta, ormai, si tratta di un’azienda che ha già fatto la sua comparsa sul blog. Non una scoperta, dunque, ma una triste conferma. Vediamo queste due recentissime promo Unieuro in collaborazione con ben due diversi brand.
3 piccioni con 1 fava. Partiamo con il primo spot.

Con tanta lentezza, che non si capisce in che misura sia effettiva e in che misura indotta dalla slow motion, una donna si avvicina alla lavatrice portando con sé la vaschetta per raccogliere i panni, apre lo sportello ed estrae gli indumenti, mostrandosi visibilmente soddisfatta. Il tutto mentre la narratrice ci parla del convenientissimo prezzo della lavatrice Samsung con eco lavaggio. Conclude un vocione gravosone maschile per donare l’accento decisivo. Passiamo subito alla seconda pubblicità, che senza dubbio ci riserverà tante sorprese.


Con tanta lentezza, che non si capisce in che misura sia effettiva e in che misura indotta dalla slow motion, una donna si avvicina alla lavatrice portando con sé la vaschetta contenente i panni, apre lo sportello e mette dentro gli indumenti, mostrandosi visibilmente soddisfatta. Il tutto mentre la narratrice ci parla del convenientissimo prezzo della lavatrice Indesit 7 chili. Conclude un vocione gravosone maschile per donare l’accento decisivo. Parliamone.


Non è meravigliosamente ammirevole il fatto che Unieuro si sia dimostrata così profondamente creativa da sviluppare due spot IDENTICI, che variano unicamente per tre fattori – la donna (son due diverse), la lavatrice (son due diverse), le azioni svolte (una toglie, una mette) – di cui il primo è quello di rilevanza minore, in quanto qualsiasi altra donna sarebbe andata bene, mentre era fondamentale mostrare le due diverse lavatrici e le due diverse azioni a fine promozionale.

Dopo essersi già distinta in negativo con la creazione di una delle pubblicità più chiaramente sessiste degli ultimi anni (ve la ricordate?) e di uno spot per il Black Friday basato su bassissime allusioni sessuali a opera di un uomo che ha pubblicamente negato la legittimità dell’atto dello stupro e dopo aver serenamente cementato le proprie scelte comunicative anche su altri mezzi, Unieuro torna, inarrestabile e a quanto pare incorreggibile, con una coppia di clip che si aggiunge alla miriade di pubblicità uguali spiccicate di altri marchi nel rafforzare l’associazione delle attività legate al lavaggio del bucato come femminili.

Unieuro
‘mazza che potente, ‘sta lavatrice. Come ho fatto a vivere senza, finora?

E dire che, con il fatto che la campagna comprende due pubblicità su due prodotti profondamente simili, Unieuro avrebbe potuto cogliere al balzo una preziosissima palla utile ad allentare la spudorata aderenza agli stereotipi sessisti che le sue comunicazioni si ostinano a presentare. Se lo spot fosse stato uno solo, avrebbe acquisito quella solita valenza negativa derivata dal contesto, entro il quale si sarebbe conformata al modello rappresentativo dominante (di quel dominante dallo sfiorare l’esclusivo), ma due? Sarebbe stato sufficiente piazzare un protagonista maschile in una delle pubblicità per annullare – nell’ambito dell’interezza della campagna – la valenza sessista. Ma perché provare a essere un minimo creativi (e qui sarebbe il minimo del minimo del minimo, perché è onestamente ridicolo pensare che serva creatività per considerare di inserire un uomo in quel ruolo. È ovvio che non inserirlo sia una scelta precisissima e consapevole) quando possiamo fare pubblicità uguali a quelle delle altre aziende? Sarebbe assurdo se questa fosse la modalità di pensiero di chi si occupa di pubblicità, ma lo è altrettanto pensare che le aziende trovino efficace promuoversi tutte alla stessa maniera, in un modo che rende i brand del tutto irriconoscibili e anonimi. Se l’obiettivo è il solo profitto, spiccare e rendersi riconoscibili dovrebbero essere obiettivi primari.

Unieuro
Ah quanta soddisfazione mi dà, la mia Indesit 7 kg!

Altro elemento-stereotipo ricorrente che questi due spot non si fanno mancare, e non se lo fanno mancare nello stessissimo modo, perché sono praticamente lo stesso spot, è quello dell’espressione emotiva delle protagoniste. Ora, nessuno suggerisce che le due dovessero essere rappresentate tristi o arrabbiate, ma stati di neutrale serenità sono facilmente esprimibili col volto. La gioia e la soddisfazione che vengano enfatizzate, invece, non sono reazioni naturali e realistiche. Totti che fa machosamente e calcisticamente il bucato se ne sta bello tranquillo e sereno da persona normale e disperde qualche regolare sorriso solo nel rivolgersi direttamente al pubblico, non certo ai panni o alla lavatrice. Ma le donne che puliscono o svolgono altre attività domestiche sono sovente rappresentate come felici, contente e soddisfatte di far quello che stanno facendo. Friedan, lo dici tu a queste persone creativine creativucce, che nessuna donna ha orgasmi lucidando il pavimento della cucina (o facendo il bucato)? Il fatto che sulle donne sia stato culturalmente e storicamente cucito il ruolo di casalinghe (con un tale impeto che nel 2019 è pieno di persone che credono che spetti loro per natura) non fa in modo che per magia queste apprezzino svolgere tali attività e tale ruolo. Alcune possono provare a farselo piacere perché pensano che sia parte del proprio dovere e sono così state abituate, ma se pulire piace o no dipende unicamente dalla disposizione personale, non certo dal sesso. Vale allo stesso modo per uomini e per donne (più che piacere, inoltre, spesso è questione di rilassamento).

Ultimo punto da menzionare: la narrazione.
Si tratta di un elemento che ho spesso discusso qua e là in diversi articoli. Se osservate con attenzione gli spot o seguite il blog da tempo avrete notato alcuni punti ricorrenti. Tra questi ci son il fatto che, mentre la narrazione maschile non è intesa come sesso-specifica e quindi la si usa per rivolgersi ad ambo i sessi, la narrazione femminile è usata solo per rivolgersi alle donne e per pubblicizzare prodotto intesi come per loro (fa eccezione qualche caso di medicinale) e il fatto che la narrazione maschile venga spesso utilizzata, di solito con funzione esplicativa, in quanto considerata (per ragioni legate a retaggi sessisti e non a fatti naturali) più autorevole.
E che ha fatto Unieuro? Ha praticamente unito le due cose!

Unieuro
Immagine esclusiva che mostra un esemplare di femmina umana sbirciare con stupore nel suo destinato futuro domestico.

Prima la narrazione femminile che suggella la declinazione femminile della promozione, dando del tu alle donne casalinghe a cui intende rivolgersi, e infine quella maschile simbolo del marchio, sempre la stessa, per donare il punto esclamativo di autorità e serietà. Pensate sia un caso, fringuelle e fringuelli? Sconti Batticuore al femminile con narrazione femminile (sexy, perché è sexy non dite di no), e Sconti Batticuore al maschile con narrazione maschile (però ehi, un uomo stilista! Un ambiente notoriamente dominato dalle don…ah, no1) . Più recenti? Bene. PS4 con protagonista maschile (sempre perché hurrà per gli stereotipi) e potentissimo Huawei con protagonista maschile, entrambi con narrazione maschile. E…aspirapolvere con donna e narrazione femminile. Potrei andare avanti. Ma mi avete capita, avete capito. Lo so.

Insomma, a 2019 inoltrato, la comunicazione pubblicitaria di Unieuro si conferma fortemente aderente agli stereotipi sessisti, senza spiragli che dimostrino di voler cambiare. Se volete dire la vostra all’azienda, potete far riferimento ai link qui in basso.

Alla prossima e, mi raccomando, occhio agli spot!


SEGNALAZIONE E COMMENTO


1 In relazione al sessismo insito nella sua considerazione culturale, l’ambito mostra delle somiglianze con quello culinario. Cucire e realizzare indumenti a livello non professionale è reputata attività da donna, ma diventa regno maschile quand’è proiettata nel mondo del lavoro e della grande moda. Similmente a come la cucina è “femmina” quando casalinga, entro le mura domestiche, ma “maschia” quando professionale, da “chef”. Che magia. Come se ci fosse un non so cosa, ma proprio un non so cosa, che tenta di mantenere le donne relegate a casa, impedendo loro di raggiungere vette professionali.

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