Addio in Positivo al Pessimo 2019

Quest’anno ho deciso di dedicare il primo post del blog a degli spot positivi, come buon auspicio per il futuro. Il buon auspicio ha francamente fatto un buco nell’acqua, e il contesto pubblicitario italiano del 2019 non ha dato segni di miglioramento rispetto all’anno precedente. Salvo qualche (una) sorpresa degna di nota, la gran parte delle aziende ha lasciato invariati i toni della propria comunicazione, mentre diverse li hanno addirittura peggiorati, e sono stati trasmessi ben 3 tra i peggiori spot visti da quando ho iniziato ad occuparmi dell’argomento (uno è in onda ancora in questi giorni, gli altri son merito/colpa di due grandi aziende: Mutti e Nutella).

Non sorprende che ciò si accompagni alla discesa dell’Italia dal 76° al 70° posto nell’ultima classifica mondiale sul divario tra i sessi, così come agli ultimi rilievi ISTAT circa il radicamento delle convinzioni sessiste e misogine della nostra popolazione. Nulla che lasci a bocca aperta, e tutto di assolutamente prevedibile per chiunque non dorma, relativamente a queste questioni. A ogni modo, stavolta il buon auspicio provo a lasciarlo sotto forma dell’ultimo post dell’anno. Partiamo con…impellenza!


Scottex resta fedele alla sua popolare icona canina, ma il contesto che ci propone per presentare il prodotto è interessante per ben tre punti chiave. Il primo è costituito dalla presenza di un uomo, padre e marito/compagno, perfettamente a suo agio tra le mura domestiche. Il secondo è la figura femminile, che vediamo ritratta con aspetto professionale, facilmente ipotizzabile come di ritorno da lavoro di corsa. Il terzo è l’uomo impegnato in attività di cura…e non una, ma ben tre. Lo vediamo prendersi cura del cane, lo vediamo condividere un momento di tenerezza con la figlia, e lo vediamo correre prontamente in “soccorso” della compagna. Senza fronzoli, né altro. Con la semplicità e ordinarietà di quanto accade. Uno spaccato quotidiano che, sebbene estremamente normale e realistico, riesce a distinguersi per via del fatto che le altre aziende insistono con l’optare tutte per schemi identici e sempre stereotipati.

Proseguiamo, passando ad altre necessità, con uno spot di Natale. Il mio rapporto con quest’azienda è un po’ turbolento, ma penso che stavolta ne abbia combinata una buona.


È quasi Natale, in questo spot Conad, ma nonostante ciò la donna protagonista si trova alle prese con il suo lavoro di medica – com’è vero ogni anno per tante persone. Nel frattempo, a casa, un uomo e suo figlio sono serenamente impegnati nella preparazione di un pandoro speciale, con il quale sorprenderanno la protagonista in ospedale, condividendo un momento di calore e affetto insieme. A fare da contorno alla narrativa principale (che ci permette di vedere una professionista a lavoro e un uomo a casa, che passa del tempo con il figlio, per giunta a cucinare, prodigandosi in un’azione per tutta la famiglia), ci sono due scenari secondari con altre persone a lavoro durante le feste: due giovani in radio, e un autista – molto carina soprattutto questa scena, che pone enfasi su un tipo di interazione semplicissima, ma che può contribuire a migliorare la giornata di qualcuno.

Conad


Altro spot, altra azienda, altro prodotto…che stavolta è un servizio. Nel caso in cui possa sfuggire di mente, ricordo che quello che valuto in questa sede sono solamente i messaggi e le rappresentazioni integrate nelle comunicazioni pubblicitarie. D’altro canto, nei nostri meravigliosi tessuti socioculturali, multinazionali che operano in modo etico sono esistenti allo stesso modo in cui lo è Babbo Natale – e non esiste nulla di ragionevole in nome di cui ciò sia giustificabile. Ma vediamo lo spot Amazon.

Sulle note di Everybody needs Somebody di The Blues Brothers, questa pubblicità a tema festivo ci accompagna ad abbracciare una varietà di persone diverse e in contesti disparati, tutte però unite da sorrisi, gioia e amore nonostante tutto. Le ragioni principali per cui questo spot mi ha colpito positivamente sono due, entrambe relative al tema della rappresentazione. Il primo punto, che probabilmente salta più all’occhio del secondo ma non è meno importante, riguarda il diversificato realismo di soggetti mostrati nello spot, che tocca aspetti basilari che caratterizzano ogni singola persona: età, sesso, etnia e orientamento sessuale. Ci sono famiglie, ci sono bambine e bambini, c’è una coppia anziana eterosessuale, c’è una giovane coppia di donne e non tutte le comparse sono caucasiche, anzi. Tanta varietà, tutta perfettamente realistica e che ha un peso non da poco in un contesto pubblicitario come quello Italiano, che varietà e realismo non sembra neppure sapere cosa siano (o meglio, lo sa benissimo ma sceglie consapevolmente di oscurarli). Il secondo punto è relativo alla figura che potremmo considerare protagonista dello spot. Più volte, anche in relazione a pubblicità altrimenti affatto male, ho fatto notare come il ruolo di chi effettua consegne viene sempre affidato a persone di sesso maschile. Lo spot Amazon ci presenta invece una corriera! Che piacere vederla. Non solo una donna a lavoro, ma anche a rivestire un ruolo ancora comunemente ritenuto maschile al punto tale che è verosimile che ragazze e donne provino remore, più o meno consapevoli, rispetto all’avvicinarvisi (in modo forse meno intenso ma non troppo diverso da quanto avviene per l’ambito dell’autotrasporto di altro tipo). Molto bello anche come, al ritorno a casa da lavoro, la donna trovi ad attenderla suo marito e le sue figlie, in uno scenario completamente capovolto rispetto a quello tradizionale, visto, rivisto, rivisto e poi ancora rivisto, della moglie che accoglie il marito.

Amazon


Come avrete intuito, questa gioiosa pubblicità che ci mostra una rappresentazione diversificata della realtà delle persone e un ritratto non stereotipato della donna non è italiana. Se siete persone curiose vi starete chiedendo come sia lo spot originale. State per scoprirlo. Vi anticipo che è ancora più bello e più ricco di quello tagliato per la messa in onda italiana. Che vi devo dire? Mi mette di buon umore. Buona visione.


È arrivato il momento dell’ultimo spot che ho scelto di includere in questo post. Non vi nego che tra me e questo spot è stato immediatamente colpo di fulmine. Facciamo insieme l’ultimo rifornimento di positività e contrasto agli stereotipi con la pubblicità Esso!

Affinché il suo sonno venga conciliato, una bambina si fa leggere “le favole” dal suo papà. L’uomo si presta ben volentieri alla giocosa richiesta dalla piccola, che si diverte tantissimo a sentire il padre leggere facendo voci. Gli anni passano e scopriamo quanto tanto “le favole” udite all’epoca quanto la voce buffa esibita dal papà abbiano lasciato il segno nella memoria (e nella conoscenza) della protagonista. Quanto mi piace questo spot. Dalla totale assenza di blande stereotipizzazioni sia nell’infanzia (oltre che dalle favole che vuole le vengano lette, l’interesse della protagonista per i mezzi ci viene comunicato anche dalla presenza del camion Esso nella sua cameretta) che nell’età più adulta della protagonista (rappresentazioni di giovani donne che non siano focalizzate esclusivamente o prevalentemente su estetica, sensualità, pose ed espressioni astruse e irrealistiche sono sostanzialmente inesistenti negli spot italiani – per non parlare delle ragazze o donne comunicate come umane e divertenti), alle scene affettuose e di complicità tra lei e suo padre, non c’è neppure un elemento, in questa pubblicità, che vada a conformarsi alle banalissime strategie comunicative della stragrande maggioranza delle aziende. Oltre che a metter benzina, è sempre la ragazza a guidare, tutto ciò mentre quasi nessuna azienda automobilistica concede a mani femminili di toccare i manubri delle proprie auto negli spot televisivi. Per quanto semplice sia, questa è una delle poche pubblicità definibili a tutti gli effetti originali, tra quelle che è possibile veder scorrere sul piccolo schermo negli ultimi tempi. È anche divertente e persino a tratti commovente, con quella nota di nostalgia che può evocare con il salto temporale.

Un padre affettuoso, che si prende cura di sua figlia (anche della sua educazione, potremmo dire) e una bambina poi ragazza rappresentata in modo realistico e per nulla conforme a limitanti e sciocchi luoghi comuni. Vi confesso che quella dello spot Esso è l’unica giovane donna degli spot che ho piacere di “incontrare” quando mi capita di guardare la TV. L’unica che non mi induce a volgere gli occhi al cielo in preda a noia, fastidio ed esasperazione.

Esso


La genitorialità di cura associata alla figura paterna è ancora ridicolmente un taboo nella nostra società che si ostina a restare ancorata alle tradizioni patriarcali (così tanto che se un padre si azzarda a comportarsi in modo stereotipicamente ritenuto “non da padre” – ossia curandosi di figli, figlie o casa – risulta ragionevole chiamarlo “mammo”). E ancora tremendamente sovversiva è l’idea che una donna osi non sacrificare la propria esistenza al di fuori dalle mura domestiche per un uomo ed eventuale prole. Che piaccia o no (spero non piaccia) siamo ancora a questo punto. E se non vogliamo rimanerci bisogna urgere media e multinazionali affinché cessino di usare il proprio potere comunicativo per rinforzare stereotipi dannosi, e inizino a utilizzarlo per incoraggiare la creazione di un nuovo senso comune, basato sul rispetto e sulla tutela della libertà delle persone di esprimersi ed esistere nella propria individualità, senza pressioni volte a racchiuderle in scatoline di modelli e ruoli sulla base del sesso.

Quanto è realistico un cambiamento di questo tipo entro strutture sociali di tipo capitalista, in cui il profitto di pochi ha costante e assoluta priorità sul benessere e l’interesse della collettività? Vorrei dire “poco”, ma non lo penso davvero. È meno realistico di “poco”. Ma non è su questo blog che possiamo occuparcene, converrete.

Questo 2019 è stato un pessimo anno dal punto di vista degli stereotipi e della misoginia in pubblicità, nei media in generale…e in società. Le premesse per il 2020 sono persino peggiori, con tanto di nuova stagione di uno dei programmi più disgustosi della storia della nostra televisione (La Pupa e Il Secchione – che certo tanto peggio di Ciao Darwin non è) e anche per questo ho deciso che non voglio invitarvi a sperare per il meglio. Quello che invece vi invito a fare è tenere gli occhi aperti, preservare la forza e l’umiltà necessarie ad aprirli ancora di più, e la voglia e la pazienza di proiettare quest’apertura sulle parole e sui gesti che caratterizzeranno il vostro 2020. Incrementare la propria consapevolezza e provare a condividerla e trasmetterla a chi ci sta intorno (senza cedere a frustrazione o fastidio qualora i semi non dovessero attecchire. Si va avanti; di terreno ce n’è a non finire), con particolare attenzione a bambine e bambini, le donne e gli uomini del futuro. Questo vorrei che sempre più di noi riuscissero a fare. Non conto sulle istituzioni. Non conto sui partiti. Non conto sulle reti televisive. Non conto sulle aziende. So di non poterlo fare. Ma so che posso contare nel fatto che qualche donna e uomo, ragazza e ragazzo, in più, aprirà gli occhi nell’anno a venire. E quando saremo tante e tanti abbastanza, forse qualcosa potrà cambiare davvero.

Buon fine 2019 e buon inizio 2020 a tutte e a tutti!

E, mi raccomando, occhio agli spot!

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