Della Femminilità

Oggi ho voglia di scrivere di femminilità.

Niente pubblicità. Femminilità. Perché così mi va.

Quanto so brava con le rime?

No, non è un pesce d’Aprile.

Per dirvi la mia sulla femminilità, sul modo in cui penso che il termine andrebbe usato e in cui il concetto andrebbe percepito, voglio partire dalle definizioni di dizionario.

I nostri dizionari definiscono la femminilità come l’insieme delle caratteristiche proprie ed esclusive della donna, nella gran parte dei casi specificando che sono inclusi gusti e atteggiamenti e dunque portando in essere una forte contraddizione interna, dacché non c’è gusto o atteggiamento che sia proprio ed esclusivo della donna come complesso delle femmine della specie umana.

Che i dizionari mentano – o meglio, che tradiscano l’influenza sessista di cui sono infusi (per Treccani “grazia, delicatezza, tenerezza” sono caratteristiche proprie ed esclusive della donna, per intenderci) – è solo relativamente importante, perché d’altronde conferma la percezione che il concetto di femminilità ha nel senso comune, nel suo riferirsi non a ciò che fa di una donna una donna, ma a ciò che fa di una donna una donna conforme a precisi standard (che corrispondono a precise aspettative) culturali basati su stereotipi sessisti. Quell’essere donne che nessuna di noi nasce, che è in realtà nessuna di noi, insomma (saluti e baci a De Beauvoir)

In altre parole, una donna è considerata femminile non quando si comporta in modo naturale o genuino (e quindi, per logica, effettivamente da donna!), ma quando lo fa in modo coerente con quello in cui la cultura dominante pensa (e le mostra, in modo sempre più invasivo e influente) di comportarsi. Una donna è considerata femminile non quando preserva il proprio aspetto naturale e genuino (e quindi il suo effettivo aspetto di donna), ma quando altera il proprio aspetto e lo artificializza per adeguarsi a quello che la cultura dominante ha deciso debba considerarsi femminile.

Insomma, il concetto che conosciamo con il termine femminilità indica, invero, una distorsione della reale femminilità e fa l’esatto contrario di abbracciare le caratteristiche proprie ed esclusive della donna. Le rigetta. Le rifiuta. Incoraggia ad alterarle, rimuoverle, odiarle, perché cozzano con il template che si è deciso di promuovere1. Abbiamo accettato e fatto nostra l’idea per cui più una donna rifiuta o modifica il suo essere donna (ossia le caratteristiche naturali del suo essere donna; dunque le effettive caratteristiche femminili), più è femminile.

Quando parlo di reale femminilità mi riferisco al significato che penso che il termine, il concetto, dovrebbe avere per davvero (e con cui è più che lecito dissentire). Ossia quello di riferimento – semplice e diretto – alla qualità dell’essere donne, femmine della specie umana. In questa ottica, a qualsiasi ragazza, a qualsiasi donna, è sufficiente essere una ragazza, essere una donna, per essere femminile (“ile” è il suffisso di parole tratte da altre parole; femminile è tratto da “femmina”, non da “immaginario di donna costruito dall’uomo e imposto alle donne”). Seguendo la logica, più è tutelato lo stato naturale del proprio essere (sia nel comportamento che nell’aspetto) più si sarebbe femminili. Ma il mio intento non è quello di suggerire una scala di femminilità, con attribuzione di giusto/sbagliato (conosciamo le conseguenze…), bensì semplicemente suggerire che l’essere femmina è l’unica caratteristica di cui una bambina, ragazza o donna necessita per essere femminile. Sono le differenze biologiche e anatomiche, non quelle culturali, a distinguere in modo reale uomini e donne, non modelli di comportamento creati culturalmente, non costumi estetici, al contrario di quanto suggerisca la nozione culturale della parola femminilità.

Stereotipi di Femminilità e Mascolinità


La grazia non è una qualità propria della donna. Il contrario non è qualità propria dell’uomo.
L’emotività non è una qualità propria della donna. L’assenza di emotività non lo è dell’uomo.
I capelli lunghi non sono qualità propria della donna. Quelli corti non sono qualità propria dell’uomo.
Indossare gonne non è qualità propria della donna. Indossare pantaloni non l’è dell’uomo.
Rimuovere peli corporei non è qualità propria della donna. Lasciarli non è qualità propria dell’uomo.
Truccarsi non è qualità propria della donna. Non farlo non è qualità propria dell’uomo.

Una donna aggraziata e una donna sgraziata sono equamente femminili. Perché sono donne.
Una donna molto sensibile e una poco sensibile sono equamente femminili. Perché sono donne.
Una donna con i capelli lunghi e una con i capelli corti sono equamente femminili. Perché sono donne.
Una donna con la gonna e una con i pantaloni sono equamente femminili. Perché sono donne.
Una donna che rimuove i peli e una che se li tiene tutti sono equamente femminili. Perché sono donne.

(Sì, mi piace reiterare uno stesso punto in modi diversi).


Alla luce di questa mia personale (per quanto la ritenga evidentemente più logica, so bene che non corrisponde alla percezione comune) visione, tendo sempre a storcere il naso quando sento parlare, anche in modo e con intento positivi, di “donne mascoline” (e uomini “femminili/effemminati”). Non nella sostanza di quanto indicato, naturalmente, ma a livello di terminologia. È la stessa ragione per cui rigetto fortemente l’attribuire a bambine avventurose e vivaci l’etichetta di “maschiaccio”, cioè il fatto che queste espressioni vadano a rinvigorire l’idea che, effettivamente, certune caratteristiche (caratteriali, di interesse o di aspetto) siano “da maschio” o “da femmina”. Una donna che porta i capelli cortissimi, gioca a calcio, lavora come meccanica, passa i pomeriggi al bar a bere birra (abbiate pazienza, sto solo accumulando stereotipi di mascolinità), cammini e si muova poco aggraziatamente non è una donna mascolina, perché i capelli corti, il gioco del calcio, il lavoro da meccanica, bere birra al bar e la carenza di grazia non sono cose “da maschio”. Salvo pensare che invece lo siano, dovrebbe risultare ovvio come definire quella donna mascolina sia una contraddizione! Lo stesso vale per un ragazzo che pratica danza classica, mette lo smalto, cammina sculettando, ama lo shopping e colleziona Barbie (anche qui sto solo accumulando stereotipi, non vogliatemene…).

Penso che sia perché, sotto sotto, molte e molti di noi (comprese persone che consciamente si esprimono e agiscono contro stereotipi e sessismo) abbiano comunque assimilato e accettato a livello inconscio che alcuni comportamenti, ruoli e gusti siano da maschio e altri da femmina, che non percepiamo dissonanza quando sentiamo espressioni come “donna mascolina”, “maschiaccio”, “femminuccia”, “ragazzo effemminato”. Io credo che dovremmo. Credo che farlo sia l’unica cosa coerente qualora si sia per davvero convinte e convinti che non esistano comportamenti, ruoli e gusti propri ed esclusivi di maschi o femmine.

Questo è quanto, amici e amiche.
Il succo dell’articolo è il desiderio di condividere con voi il mio rifiuto del significato comunemente attribuito al concetto di “femminilità” (conseguentemente anche a quello di “mascolinità”), in quanto contraddittorio e completamente basato su stereotipi, e il desiderio di abbracciarne uno più logico, ragionevole e rispettoso di quelle che sono le bambine, le ragazze e le donne nella loro umana espressione. La femminilità è la qualità di essere donne, dell’essere femmine della specie umana (la mascolinità è la qualità di essere uomini, dell’essere maschi della specie umana). La femminilità è fatta dell’infinita e naturale varietà di comportamenti, aspetto e personalità che contraddistinguono ciascuna bambina, ragazza e donna. Non c’è bambina, ragazza o donna che non sia femminile, qualsiasi cosa faccia, pensi, dica, in qualunque modo appaia, qualunque cosa le piaccia.

Dalla sottoscritta è tutto. Passo e chiudo, con grazia, delicatezza e tenerezza.


1. Quando si guarda alla costruzione dei concetti culturali di femminilità e mascolinità risulta ovvio, io credo, che siano basati sul desiderio di enfatizzare grossolanamente e innaturalmente il contrasto tra i due sessi. Sul perché si sia ritenuto che le differenze esistenti non fossero sufficienti, e sufficienti a cosa poi (certo sono sempre state sufficienti alla mera continuazione della specie), si può discutere. Ipotizzo che abbia a che fare con la strutturazione del tessuto sociale e la facilitazione dell’attribuzione di ruoli specifici a uomini e donne, in modo da scoraggiare il desiderio di varcare i confini di quanto indicato come giusto. Semplificando, per far sì che fosse più facile tenere le donne a casa, sotto il dominio maschile, senza che si lamentassero (e gli uomini fuori da casa senza che ne risentissero).

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