Napisan – Protetti e Stereotipizzati

Basta distrazioni. Basta rimandare. È tempo di pulizie. Stracci e detersivi mi chiamano. Torniamo a immergerci nell’ambito che con maggior insistenza e costanza propaga antiquati e dannosi stereotipi di genere. Diamo il via alla visione dell’ultimo spot Napisan, che fa il suo glorioso ritorno sul blog, dopo la prima apparizione.

Con disgusto, Donna A tira fuori una marea di fazzoletti sporchi dalle tasche di un jeans da uomo. Altrettanto disgusto mostra Donna B nell’annusare un panno estratto da un borsone. Mentre il narratore ci ricorda che il detersivo da solo non basta, Donna A infila indumenti nella lavatrice e aggiunge il prodotto pubblicizzato. Nuova scena. Futura Donna lava un bambino di plastica comodamente e ragionevolmente seduta accanto a una lavatrice che puzza, come fa notare a Donna C, che si accinge – con gioia – a infilare indumenti nel maleodorante macchinario. Lo spot si conclude con la persuasiva voce del narratore che ci introduce ai benefici di un secondo prodotto per contrastare i cattivi odori. Parliamone.

Come avrete notato, questa pubblicità Napisan è davvero rivoluzionaria.
Il team creativo dell’azienda ha persino osato inserire la presenza maschile, sotto forma di jeans sporchi e narrazione spiegante. Stando allo spot sarebbe lì che inizia e finisce il coinvolgimento degli uomini nella pulizia degli indumenti.

La pubblicità si impegna in modo concreto ed evidente nel comunicare l’associazione esclusiva delle attività connesse con l’utilizzo del prodotto alla figura femminile, assicurandosi che nessune essere dotato di pene si avvicini allo spaventoso marchingegno noto come Lavatrice che, come sappiamo, è operabile solamente da soggetti vulvo-muniti, come ci ricordava anche il brillante spot Regina Wish, iconico rappresentante dell’inguaribile inettitudine maschile.

Napisan
“Ciao, sembro schifata, ma sono estasiata all’idea di toccare fazzoletti sporchi di altrui moccio e di mettere a lavare panni non miei. I proprietari avranno senz’altro di meglio da fare, là fuori, nel mondo”.

Questo persistente evitare di estendere la normalità dello svolgimento delle faccende domestiche a una varietà di soggetti che comprenda ogni sesso e diverse età, va inevitabilmente a rinforzare quella ancora tristemente vivissima mentalità che vuole questo ambito come appannaggio delle donne. Il carico della sporcizia dell’intero nucleo familiare finisce sulle spalle della figura della casalinga/moglie/madre (uno dei due tipi di rappresentazione femminile quasi esclusivi nelle pubblicità; l’altro è quello della figura che insegue canoni estetici, tra shampoo, depilazione, trucchi e creme anti-age), l’unica a cui spetta occuparsene, mentre il maschio è invisibile, sollevato da ogni responsabilità e considerato inadatto, come tradizione patriarcale vuole.

È esattamente in questo modo che si fomentano gli stereotipi, impedendo al circolo vizioso di spezzarsi. Meno si incoraggiano gli uomini a occuparsi delle attività di cura (e più si scoraggiano le donne a pensarsi e vedersi come altro da casalinghe, mogli e madri), più difficilmente questi si sentiranno ben disposti a farsene carico o lo faranno sentendosi, intimamente, di fare qualcosa che non gli spetti – colpa anche dell’inquadratura come “aiuto” dell’equa partecipazione maschile.

È erroneo e pericoloso attribuire – anche solo pensando di fare umorismo – la manchevolezza capacitativa di alcuni uomini al loro essere uomini. È una condizione completamente e platealmente generata su base culturale e costantemente rafforzata, oltre che dalle esternazioni e dalle gesta di coloro nei quali le influenze hanno già profondamente attecchito, dalle comunicazioni mediatiche proprio come quella dello spot Napisan.

Napisan
“Ciao, annusare questo panno e metterlo a lavare costituirà il picco della mia giornata di figura femminile. Quante emozioni che regala l’esser donne. Noi, quattro mura, pupi, cibo, polvere e puzze. Il paradiso”.

Per quanto si provi a suggerire questo pensiero (talvolta auto-inducendolo, pur di non cedere a riconoscersi come potenziali vittime dei condizionamenti) non c’è niente di innocuo nel presentare soggetti di un unico sesso, sempre lo stesso, alle prese con attività ben specifiche, sempre le stesse. Si tratta di una dinamica che invia messaggi chiari e limpidi. È comunicazione; ed è comunicazione che volge alla fossilizzazione di una forma mentis che, sebbene diventi sempre più anacronistica rispetto alla direzione della realtà, continua a essere incoraggiata, finendo con l’ostacolare e/o rallentare il progresso socioculturale e individuale.

Ma allo spot Napisan non bastavano le tre donne su tre figure protagoniste attive a sigillare il patriarcale accordo sociale. Ha voluto fare di più, aggiungendo un elemento extra del tutto innecessario relativamente alla pubblicizzazione del prodotto: la bambina; la futura donna. E quando dico donna non mi riferisco a un essere di sesso femminile della specie umana. Mi riferisco a “donna” culturalmente intesa, “donna” prodotto sociale (confusa miscela di sesso e genere in cui il rilievo pende vertiginosamente su genere, e dunque sulle attribuzioni socioculturali).
Questa donna coincide – o meglio, si vuole fare in modo che continui a coincidere, al punto tale che ce lo chiedono anche politica e istituzioni ecclesiastiche – con la fantomatica entità una e trina: la casalinga/madre/moglie.

Napisan
Bimba: “Mamma, mamma, cos’è questa puzza?”
Mamma: “È la puzza del futuro che vorrebbero per te. Non ci pensare e guarda come si fa la lavatrice, da brava donnina”.

E allora forza, piccola! Impara a prenderti cura dei bambini. Impara a preparare la lavatrice. Impara come si igienizza. Sei una donna. Questo è il tuo mondo. È il tuo ruolo. È il tuo futuro. È il tuo destino.

Insomma, mi pare chiaro che a necessitare di una bella igienizzata sia il reparto marketing di Napisan. La comunicazione pubblicitaria dell’azienda è antiquata, stereotipata e sessista. Semmai dovesse interessare affacciarsi a prospettive diverse, che promuovano modelli diversificati e rispettosi della varietà dell’esperienza umana, si sappia che basta pochissimo. Niente più donne casalinghe che mettono a lavare i panni di tutta la famiglia, affiancate da bimbe apprendiste, ma figure di ogni tipo, sesso e caratterizzazione (magari anche in contesti variegati) che traggono beneficio dall’uso del prodotto. Qualcosa mi suggerisce che non può richiedere chissà quale sforzo creativo portare in scena rappresentazioni che non siano identiche a quelle degli altri spot di prodotti per la pulizia.

Napisan
Nel caso in cui non fosse ancora chiaro l’intento di rappresentazione femminile esclusiva (condito da glorificazione del materno – a discapito dell’inesistente paterno), questa è l’immagine di copertina della pagina Napisan.

Nella speranza e nell’attesa che Napisan lasci dietro sé questi tristemente stereotipati ritratti femminili (nel frattempo propagandati anche dallo spot delle salviette della stessa azienda), vi invito a scrivere opinioni e suggerimenti all’azienda, qualora ne aveste voglia.

Anche per oggi è tutto. Alla prossima e, mi raccomando, occhio allo spot!


SEGNALAZIONE E COMMENTO

L’espressione dell’opinione relativa agli spot – spesso più della segnalazione degli stessi – può essere cruciale e determinante nello stimolare i marchi a muoversi verso una direzione pubblicitaria diversa, più progressista e socialmente responsabile. Poiché l’unione fa la forza, come diversi casi hanno in passato dimostrato, invito tutti a prendersi il tempo per lasciare commenti sulle pagine ufficiali e/o inviare email ai marchi interessati. A seguire, i dati per lo spot menzionato nell’articolo:

Precedente Jocca - Sessismo al Primo Fiocco Successivo Bio Blu, Lo Stereotipo Vale di Più