Dove: Razzismo? Mancanza di Sensibilità? Caduta di Stile?

Vorrei spendere qualche parola sulla pubblicità Dove che ha sollevato un polverone nei giorni scorsi, fino a venire repentinamente ritirata dal popolare marchio, con tanto di scuse.
Sono certa che molti e molte di voi abbiano già visto la sequenza qui in basso:

Si tratta di un’immagine facente parte di una clip promozionale Dove pubblicata su Facebook. Sebbene, però, non si tratti dell’intera pubblicità, questo pezzo è quanto ne è stato ampiamente (quasi unicamente) diffuso e, soprattutto, quanto è bastato a tacciare Dove di razzismo, peraltro non per la prima volta nella storia del marchio.

Insomma, difficile non comprendere le ragioni delle accuse, a guardare queste immagini, non trovate? Una donna nera si sveste della sua pelle per ritrovarsi nei panni di una donna bianca. L’effetto lascerebbe ben poco all’immaginazione.

Ma guardiamo insieme lo spot nella sua interezza.

La muta, se così vogliamo chiamarla, che prima avviene dalla donna nera alla bianca, avviene poi dalla bianca a una ragazza asiatica, annullando il messaggio razzista comunicato con così tanta apparente chiarezza dalla prima parte della pubblicità.

O forse non è del tutto così? Vediamo un po’…
In assenza del contesto completo è piuttosto difficile non restare quasi inorriditi alla vista del passaggio dalla prima alla seconda donna, che così fortemente richiama la fin troppo nota purificazione/pulizia dal nero al bianco ma, al contempo, l’interezza dello spot rende quantomeno ovvio che non vi sia, di base, un messaggio effettivamente razzista da parte di Dove.

Eppure la pubblicità resta uno strafalcione e non può scrollarsi di dosso, non in modo completo, il sapore offensivo e razzista. E non può farlo per una ragione molto semplice (che è una ragione particolare – e particolarmente importante – che ho già menzionato in ambiti e contesti diversi): il contesto storico, sociale e culturale. 
Per chi tra voi non lo sapesse, c’è storicamente stato un quantitativo considerevole di immagini pubblicitarie e spot che si sono realmente avvalsi del passaggio da persona nera (associata al concetto di sporco) a persona bianca per promuovere l’efficacia di prodotti – quelli pulenti, per lo più. Un paio di esempi:

A ciò si aggiunge l’ancora vivissima tensione razziale che permea sul territorio Americano, che si porta dietro uno storico doloroso di sangue, lacrime e sudore.

Qualcuno, semplicisticamente, penserà che “Non importa, perché tanto la pubblicità non è razzista”. Ma per quanto questo qualcuno abbia ragione circa il fatto che la pubblicità non sia razzista, non ha ragione sul fatto che non importi. Importa.
Importa perché quella prima sequenza mostrata nella pubblicità, quella donna che si spoglia delle sue nere vesti per trasformarsi in una donna bianca non può, agli occhi di centinaia, migliaia di persone, non essere un’immagine emotivamente MOLTO carica e significativa, che evoca un certo tipo di sensazioni ed emozioni che forse alcuni di noi non hanno i mezzi per comprendere appieno (anche ammettere questo può essere importante) ma che non per questo vanno ignorate.

E che sia stato soprattutto per evitare ulteriori ripercussioni o per effettivo senso di responsabilità sociale (o, perché no, entrambe le cose), Dove ha comunque avuto l’intelligenza di non ignorare e di prestare ascolto a queste persone offese da uno spot che, seppur non di per sé razzista, ha richiamato effetti particolarmente affini a quelli generati da messaggi di quella natura.

“Un’immagine da noi recentemente postata su Facebook ha fallito nel rappresentare efficacemente le donne di colore. Siamo profondamente rammaricati per l’oltraggio provocato”.
Così ha scritto Dove sul suo account Twitter, circa 3 giorni fa.
Il marchio ha poi scelto di pubblicare delle scuse più articolate, nella giornata di ieri, rinnovando le scuse ed esprimendo la consapevolezza del fatto che un errore simile non sarebbe mai dovuto accadere.

Non è cosa da poco che in nessuna fase dello sviluppo e del lancio della pubblicità qualcuno si sia accorto del potenziale offensivo insito in parte della stessa.
Forse sarebbe bastato poco per evitare quest’occorrenza. Magari sarebbe stato sufficiente alterare l’ordine della sequenza, facendo sì che non vi fosse alcun passaggio da nera a bianca. O forse il concept del passaggio da un’etnia all’altra non è comunque il modo ideale per rappresentare la varietà delle pelli e l’ampiezza della copertura del prodotto Dove, e dunque vi sarebbe comunque stata qualche forma di opposizione. Non possiamo dire con certezza.

Ad ogni modo, sebbene sia ancora presente tanta, tanta rabbia off e online, anche in seguito alle scuse, niente può cambiare il fatto che l’errore sia stato commesso, ma non è neppure bene non abbracciare l’importanza della scelta della Dove di non fuggire, di non cercare scuse (magari appellandosi all’effettivo non razzismo in senso stretto) e di aver affrontato l’irresponsabilità sociale della decisione povera operata nell’ambito di questo spot.

Agli animi feriti va concesso il tempo di sbollire la legittima rabbia e a Dove l’opportunità di rifarsi, possibilmente alla luce di maggiore responsabilità, consapevolezza e sensibilità.

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