Pampers Baby Dry, Sessismo che Respira

Proprio qualche giorno fa, con l’arrivo al termine del mese di giugno, è passato esattamente un anno dalla pubblicazione del primo articolo su questo blog. Ebbene, a distanza di un anno, l’azienda di cui ho parlato in quel primo post non solo non ha migliorato la sua comunicazione, ma l’ha peggiorata. Vediamo come, osservando subito il nuovo spot Pampers Baby dry.

Mentre una donna prende per mano un piccolo essere umano, la narratrice ci informa che i laboratori Pampers hanno aperto le porte alle mamme, mentre tre donne attraversano la porta con pupi alla mano, in carrozzina o in braccio. Dopodiché, giunge una ricercatrice a comunicarci che, in fondo, ogni mamma è una ricercatrice, sempre in cerca di risposte per pargoli e pargole. Pum. Inquadratura su ventordici donne con bimbo. Avendo accolto la domanda postale con gran naturalezza da una delle madri, la ricercatrice spiega i benefici del prodotto. Le mamme sono estasiate dalla virtualizzazione della realtà assorbente, e io sono estasiata da questo spot. Parliamone.

Che novità! Che pubblicità fresca, originale e sorprendente.
Ormai lo sappiamo. A lavorar nei campi son tutti maschi, nei bar son tutti maschi, alla guida son tutti maschi, a occuparsi di polizze e assicurazioni son tutti maschi. E quand’è che son tutte femmine? A casa, a cucinare, a pulire, a curarsi dei bambini e a ossessionarsi all’inseguimento di canoni estetici imposti. Ma sì, tranquille e tranquille, va tutto bene. Se ci impegniamo a sufficienza possiamo ancora far finta – e magari convincerci pure – che le scelte rappresentative mediatiche non abbiano impatto sul sentire comune, neppure in un paese in cui sono ancora rigogliose le erbacce del retaggio culturale. È sicuramente un caso che l’Italia sia fanalino di coda Europeo (e 88esima su 144 paesi a livello internazionale) per quanto riguarda le disuguaglianze sociali, economiche, lavorative e politiche tra i sessi. Ma veniamo allo spot.

Ancora una volta Pampers mette in chiaro immediatamente il suo rivolgersi in modo esclusivo alle madri, tagliando completamente fuori la considerazione della figura genitoriale maschile, sempre invisibile, priva di importanza, inesistente.

E ancora una volta questo messaggio viene proposto da entrambi i principali elementi costituenti la pubblicità: quello visivo e quello contenutistico. Per quanto riguarda il primo elemento, ci troviamo posti davanti alla presenza di sei – se ho ben contato – donne accompagnate da altrettanti bambini (o bambine), sei madri in visita al laboratorio Pampers. Anche la voce narrante è femminile, così come è di sesso femminile la figura professionista che guida le madri (e qui direi anche meno male – la comunicazione è già terribile così, ma piazzare un professionista a guidare l’esclusività dell’importanza femminile nella genitorialità sarebbe stato un aggiuntivo danno ad accompagnar la beffa). Di uomini neppure l’ombra, fatto salvo per quelli sullo sfondo. Ma stanno lavorando e gli uomini che lavorano vanno bene.

Per quanto riguarda l’elemento contenutistico, anche questo è chiaro e immediato. Ci viene verbalmente comunicato che Pampers apre le porte alle madri e, se quello non bastasse, pochi secondi dopo sopraggiunge una bella spruzzata di sessismo benevolo. Perché oh, le mamme sono un po’ ricercatrici. Non lo sapevate? Son tutto-fare, loro, che si preoccupano di cercare il meglio per i propri bambini. Eh, quella marcia in più delle donne. Eh, il multitasking. Quanto son brave, quanto sono efficaci ‘ste donne – che restino brave ed efficaci a casa e coi pupi, però!

Pampers
“Ciao, siamo mamme. Per noi si aprono tutte le porte, tranne quelle professionali. Quelle si chiudono così possiamo restare a casa o al massimo dedicarci a qualche part-time mal pagato. Amiamo l’Italia.”

Qualche informazione gratuita per Pampers Italia:

– Bambini e bambine sono soliti nascere all’interno di un contesto di coppia, quest’ultima comunemente (o esclusivamente, se consideriamo la prospettiva tristemente limitata della quasi totalità delle aziende1) formata da un uomo e una donna. Ciò rende tanto l’uomo quanto la donna figure genitoriali. Lasciandoci indietro – come tutti dovremmo – le influenze culturali di stampo maschilista e patriarcale, è importante capire e non dimenticare che l’appartenenza a uno dei sessi non rende gli individui più o meno capaci, più o meno adatti, più o meno interessati alla cura degli infanti. Essere donna non rende alcun individuo intrinsecamente migliore in qualità di genitore. Sembra ovvio eppure ancora pare sfuggire a troppi.

– Insistere con così tanta forza su una comunicazione che punta al rilievo esclusivo della figura materna va a rinforzare la convinzione, ancora presente seppur chiaramente dannosa, che la cura dei bambini e di altri aspetti della vita domestica e/o casalinga sia appannaggio delle donne. Allo stesso tempo e di conseguenza, si rinforza anche l’idea relativa al fatto che questo genere di attività non spetti agli esseri di sesso maschile. In Italia vige una situazione in cui è cruciale stimolare e incoraggiare le donne a coltivare il proprio potenziale e inseguire la propria realizzazione individuale e professionale, e in cui un uomo che ha piacere e interesse a dedicarsi alla cura dei figli e della casa è stigmatizzato e spesso messo in condizione di sentirsi a disagio. E che fa questo spot Pampers? Cerca di serrare ulteriormente il legame tra genitorialità e femminilità (il materno come unica vera realizzazione per la donna) al contempo allontanando quanto più possibile gli uomini da questo ambito. Grazie, eh. Al passo con le esigenze sociali, proprio.

Pampers
“Ciao, siamo mamme. Teniamo i bambini lontani dagli uomini, così che le masse non scoprano che le capacità e le attitudini di cura prescindono dal sesso e il sistema socioculturale possa continuare ad avere scuse per relegarci alla domesticità, mentre gli uomini fan la qualunque.”

– Le mamme, in quanto mamme, non sono ricercatrici. Le ricercatrici sono ricercatrici. A essere in cerca di risposte sono tutti i genitori che si preoccupano per il benessere dei propri figli e delle proprie figlie. Farlo non li rende ricercatori, li rende genitori attenti, interessati e – si spera – anche responsabili. Mi spiace, ma non basta pronunciarle con voce allegra e con sottofondo di una musica rasserenante per rendere le frasi di questo spot meno sessiste, come se la professionalità femminile non fosse già sminuita abbastanza in questo paese.

All’inizio dell’articolo ho badato bene a specificare che stessi parlando di Pampers Italia. La ragione è molto semplice: in America il marchio pubblicizza in modo sostanzialmente diverso. Niente esclusività nel sesso del genitore né visivamente (qui abbiamo sia un uomo che una donna, qui abbiamo una sfilza di padri) né nella comunicazione verbale o testuale (bimbi e bimbe con indosso il prodotto, per evidenziarne i benefici e poi il meraviglioso messaggio finale: La scelta n°1 dei Genitori. Non delle mamme, come in Italia, ma dei genitori). Un altro mondo.

La soluzione, per Pampers Italia, sarebbe davvero semplicissima. Basterebbe liberarsi della narrativa sessista propagandata e puntare all’inclusività. Nel pratico, le porte del laboratorio non andrebbero aperte solo alle madri e non bisognerebbe rivolgersi solo a queste ultime. Fate entrare gli uomini, fate vedere i padri; coinvolgeteli, rendeteli partecipi. L’importanza della figura del genitore2 va assolutamente e quanto prima slacciata dal sesso dell’individuo.

Pampers
“Ciao, siamo mamme, ma potete anche chiamarci Ricercatrici. Se vi sembra che tre su quattro bimbi vogliano scappare, sappiate che è solo un’impressione.”

Considerando che nel corso dell’ultimo anno l’azienda ha peggiorato la comunicazione, non posso dirmi particolarmente speranzosa, certo. Ma la spugna non la getto e ho anche già scritto a Pampers USA per informare (dubito che non sapessero, ma non si sa mai) delle scelte pubblicitarie operate qui in Italia.

Se avete voglia di comunicare la vostra all’azienda, potete farlo utilizzando i link qui in basso.

Alla prossima e, mi raccomando, occhio agli spot!


SEGNALAZIONE E COMMENTO

L’espressione dell’opinione relativa agli spot – spesso più della segnalazione degli stessi – può essere cruciale e determinante nello stimolare i marchi a muoversi verso una direzione pubblicitaria diversa, più progressista e socialmente responsabile. Poiché l’unione fa la forza, come diversi casi hanno in passato dimostrato, invito tutti a prendersi il tempo per lasciare commenti sulle pagine ufficiali e/o inviare email ai marchi interessati. A seguire, i dati per lo spot menzionato nell’articolo:


1 Le pubblicità che riconoscono e rappresentano diversità e varietà relative a composizione familiare e orientamenti sessuali/romantici sono pressoché inesistenti – e sono sempre felice di menzionare le poche che lo fanno. Come ampia parte della comunicazione mediatica, anche quella pubblicitaria è attivamente impegnata nel preservare l’invisibilità delle realtà e delle esistenze non aderenti a quanto proposto come normativo, senza curarsi della negatività dell’impatto di queste scelte. Per sfortuna dei contenuti italiani, è sempre più facile ottenere accesso a contenuti provenienti da altri paesi che, sebbene con lentezza e gradualità, integrano sempre più efficacemente la meravigliosa e ampissima diversità dell’esperienza umana. Chi però, per mancanza di interesse, capacità o quant’altro, si trova limitato alla televisione Italiana, è invitato a restare indietro nel tempo, insieme a lei. 

2 E più in generale di ogni persona che si trovi a incarnare la figura del caregiver primario per uno o più bambini/e.

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