Tu sei Sessista, Anche Raid lo è

Cari amici e care amiche vi scrivo, così mi distraggo un po’. Bugia. Vi scrivo per parlarvi dello spot di un prodotto particolarmente utile in questo periodo – un antizanzare. Raid ha scelto una narrazione che associa la protezione dai ronzanti insetti a quella operata in sede genitoriale (che nell’Italia pubblicitaria coincide con materna, ma lo sapete già). Preparatevi a me che prendo estremamente sul serio una certa questione. Ma prima, guardiamo lo spot di Raid Liquido.

 

Una signora informa una ragazzina di non essere una sua amica, bensì sua madre (un tipo di scambio mai sentito prima). E lo fa mentre sorregge con aria severissima un vestito blu, meno scollato di quello che la ragazzina avrebbe voluto indossare. Altro giorno/sera, altro sguardo severissimo, perché la ragazzina è tornata più tardi del dovuto. Ecco che arriva Raid, che aiuta la nostra signora mamma a soddisfare le esigenze di protezione nei riguardi di sua figlia. E nel dare la buonanotte alla ragazzina, la donna mette da parte lo sguardo severo e si concede un sorriso. Parliamone.

Innanzitutto, per afferrare la problematicità dei contenuti invito tutti e tutte noi a domandarci se crediamo sia una pura casualità che la pubblicità rappresenti una madre e una figlia e se reputiamo verosimile la proposta dello stesso tipo di scena con figlio e un genitore.

Una volta risposto negativamente a questi quesiti – e non c’è verso di rispondere diversamente con onestà intellettuale – sappiamo già per certo che si tratta di una rappresentazione viziata da preconcetti socioculturali. Il ritratto viene presentato come una situazione quotidiana da nulla, un’occorrenza qualunque in cui qualcuno riuscirà anche a immedesimarsi (in quanto prodotto di questa cultura), ma la tossicità che cela è immensa.

I punti cruciali su cui soffermarsi sono proprio legati alle figure che si è scelto di far muovere su schermo: una madre e una figlia. Per quanto riguarda la prima, la questione è semplice e affatto nuova per chiunque frequenti il blog oppure guardi con occhio attento le rappresentazioni mediatiche. A palesare attenzione nei riguardi della prole, a curarsi dell’educazione di figli e figlie, sono sempre le madri. La presenza della figura genitoriale maschile è passiva (e in casi più rari persino diseducativa) quando presente oppure – nella gran parte delle occasioni – non pervenuta. E quando non perviene, è sempre e comunque da intendersi come esistente e semplicemente impegnata in altro, in ciò che maggiormente le compete: il lavoro. Questa retorica va costantemente a rinvigorire la comunicazione dell’educazione come appannaggio femminile, stereotipo dannoso che fatichiamo a scrollarci di dosso anche grazie al rifiuto di mostrare realtà più variegate che facciano giustizia ai nostri tempi e all’unicità delle esperienze individuali, a prescindere dal sesso.

Raid Liquido

Nel caso dello spot Raid, la consueta problematica della madre come educatrice esclusiva si accompagna a un tasto che, se vogliamo, è ancora più dolente (sebbene entrambi derivino dalla stessa matrice culturale) e che è incarnato nell’operato educativo della donna, strettamente legato al fatto che l’essere che si intende educare – proteggere – sia di sesso femminile.

La linea protettiva che la donna segue nell’educazione di sua figlia è espressa tramite un severo richiamo in seguito a un ritardo e il rifiuto di lasciare indossare alla ragazzina l’abito da lei scelto, per optare per uno che coprisse una quantità maggiore di pelle. Poiché il primo punto sarebbe ipotizzabile anche in presenza di un figlio (seppure con implicazioni e sfumature diverse – comunque correlate a quanto segue), direi di concentrarci sul secondo.

La ragazzina si sta preparando per uscire. Non conosciamo la sua età, ma possiamo ipotizzare che abbia 14-16 anni. È entusiasta mentre mostra alla madre il vestito che vorrebbe indossare; un abitino rosa antico (almeno credo), scollato e fresco. La donna gela la ragazzina con lo sguardo, nel proporle l’alternativa che lei ritiene più adatta – un abitino non scollato. La narrazione dello spot ci presenta chiaramente questo gesto come tentativo di proteggere la ragazzina e difficilmente i più faticheranno a leggerlo e digerirlo in questo modo. È proprio su questo che dovremmo porre la nostra attenzione e sollevare i nostri quesiti.

Raid

Da cosa sta cercando di proteggere sua figlia, questa madre, comunicandole l’inappropriatezza dell’abito che aveva scelto? Cosa renderebbe quel capo inappropriato? Cosa lo renderebbe espositore a maggiori rischi rispetto all’abitino blu? Qualora la donna ne abbia parlato con sua figlia (e qui siamo nel reame dell’immaginazione, perché lo spot trasmette il tutto come basato su sguardi e gesti, non dialogo – potrebbe essere mera questione di praticità, sebbene rifletta la reale condotta genitoriale di taluni), quali motivazioni ha addotto per giustificare eticamente e ragionevolmente questa sua linea educativa?

Le avrà spiegato che non c’è nulla di intrinsecamente pericoloso relativamente alla quantità di tessuto che copre il suo corpo? Le avrà spiegato che non c’è nulla di intrinsecamente sessuale nella sua esistenza di donna? Le avrà spiegato che dovrebbe avere il diritto di vivere serenamente le sue giornate, camminare in quiete per le strade? Le avrà spiegato che se capita che così non sia, se capita che non ci siano serenità e quiete, non dipende mai – mai, mai, mai, mai – da quello che indossa? Nulla di questo può evincersi dalle scelte dello spot, dalla severa opera decisionale comunicata come giusta e positiva (l’abbraccio e la carezza sono il “mi costa, ma lo faccio per il tuo bene”). Quel che passa è un rinforzo alla narrativa che attribuisce la responsabilità dei pericoli a cui le ragazze possono trovarsi esposte…alle ragazze stesse. Quella cultura lì, ci siamo capite e capiti: la cultura dello stupro e dell’attribuzione di colpa alle vittime (victim blaming).

Raid Liquido
– “Dai, ne ho scelto uno accollato”.
– “Ma è tardi!”
– 🤦

Se non i genitori, se non la scuola, chi glielo spiegherà a questa ragazzina che non sarà mai colpa dei suoi vestiti – o di quelli delle altre? Come lo imparerà? Si troverà, come tante altre, a sentirsi preda o tentazione-che cammina ogni singolo giorno della sua vita semplicemente per il suo essere donna, pur senza fare o dire nulla (e le divinità gliela scampino semmai dovesse fare o dire qualcosa)? Si troverà, come tante altre, a percepire come potenziali fonti di pericolo tutti gli uomini che incontrerà sul suo passaggio – abituandosi a velocizzare il passo, guardarsi le spalle, essere sempre sospettosa (“non tutti gli uomini” le diranno, dopo averla educata a pensare che “tutti gli uomini”)? Si troverà a sentirsi in difetto semmai dovesse accaderle qualcosa, pensando che si sia trattato di una sua mancanza, di una sua colpa? Forse era anche coperta, ma…ehi, avrebbe potuto coprirsi di più. La mamma glielo diceva sempre, con quel suo sguardo severo. Aveva ragione lei. Avrebbe dovuto coprirsi di più. Non avrebbe dovuto sorridere. Non avrebbe dovuto scambiare quello sguardo. Sarebbe dovuta restare in compagnia. La mamma l’aveva avvertita. È tutta colpa sua. Fu colpa di Eva se Adamo mangiò la mela. Gli uomini sono uomini. È normale. È natura. Puttana. Fine. Grazie per aver visto “Storia di una ragazza cresciuta in una società patriarcale, da probabilmente ignari strumenti del patriarcato che le hanno impartito un’educazione patriarcale”.

Raid
“Ora sa che se non vuole rischiare si deve coprire. Possono stare serena”.

Si tratta di una linea non-educativa simile a quella alla base dei codici di abbigliamento, che schiumano d’impegno nel puntare il dito accusatorio contro il vestiario delle ragazze, profondendo zero sforzi nell’educare i ragazzi a non percepire le ragazze come oggetti alla  mercé dei loro desideri, a non vederle solo tramite una lente di sessualizzazione e, di conseguenza, a non trattarle come merce (al contrario, nel dare per scontato che ci sia da aspettarsi che le vedano in quel modo, sono gli adulti-educatori stessi a tenere viva e rinsaldare la dinamica). Quello che accade come risultato non è alcun tipo di tutela, bensì la legittimazione come normalità, come diritto (!), del fatto che i ragazzi sessualizzino e oggettivino le ragazze, mentre a queste ultime viene rubato quello che ben più ragionevolmente dovrebbe essere considerato un diritto; quello a vivere ed esprimersi in libertà, essendo viste come esseri umani, non come merce ambulante.

Genitori (ma anche zii, zie, nonni, nonne, cugine e cugini), mi rivolgo a voi.
La preoccupazione è lecita, la preoccupazione è comprensibile e la preoccupazione a volte è inevitabile. Ma vi prego di comprendere quanto alcune misure, che sul momento – magari d’istinto, per riflesso condizionato da quanto abbiamo assimilato come opportuno, o ancora per attitudine all’apprensione – ci paiono di beneficio, covano l’oscuro potenziale di condurre a conseguenze negative sull’esperienza di vita delle nostre figlie, sul loro senso di sé, sulla loro sicurezza, sul loro modo di vedere gli altri e le altre. Potrebbe non bastare una vita intera a sgusciarne fuori. È molto più di un semplice tentativo di protezione. È qualcosa d’altro che un tentativo di protezione.

Chi l’avrebbe mai detto che avrei scritto un articolo sulla cultura dello stupro ispirandomi allo spot di un prodotto per proteggersi dalle zanzare? Chiaramente non penso affatto che Raid e l’agenzia creatrice di questo spot Raid fossero consapevoli delle potenziali implicazioni di messaggio qui discusse – d’altronde sono percorsi di pensiero integrati nella nostra cultura. Detto ciò, intento e risultato comunicativo sono elementi diversi e non di rado contrastanti (e quello che interessa a me è il risultato), quindi la rappresentazione permane con tutte le derivazioni contenutistiche connesse al contesto socioculturale e permane altresì il mio desiderio che messaggi di questo tipo smettano di essere promulgati.

Se avete voglia di dire la vostra a Raid, fate affidamento sui link qui in basso.
Alla prossima e, mi raccomando, occhio agli spot!


SEGNALAZIONE E COMMENTO

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