Perché Non Ci Facciamo Una Risata?

“Ma non ti sembra di esagerare?”

Questa è la domanda che ogni ragazza o donna che usa criticare occorrenze sessiste o stereotipate nei media o nella vita di tutti i giorni si è sentita rivolgere almeno una volta nella vita. Ok, d’accordo. Almeno un centinaio di volte. E più lo si legge e lo si sente dire, più (che sia in modo conscio o inconscio) si dubita e si mette in discussione la validità della propria espressione, della propria percezione, della propria osservazione; l’efficacia dei propri sensi, l’accuratezza del proprio istinto, in ultima analisi. D’altro canto, se tutta questa gente pensa che esageriamo…forse stiamo davvero esagerando. Logico, no?

Quello che intendo fare con questo breve pezzo è sostenere la tesi per cui non solo non si esageri, ma si faccia addirittura il contrario. L’unica cosa in cui esageriamo è la moderatezza.

Le reazioni a volte anche viscerali che sessismo e stereotipi provocano in tante di noi non sono solo ragionevoli e giustificate; sono una sana risposta all’ostilità che ci circonda ovunque, in modi che vanno dal subdolo e velato all’estremamente esplicito.

Perché parlo di moderatezza? La ragione è molto semplice.
Tra chi parla e agisce poiché comprende impulsivamente che si tratta di una causa importante e di proprio interesse, tra chi lo fa senza pensare troppo, influenzata dalla community in cui si sente immersa e chi lo fa per genuina e profonda presa di coscienza, sono convinta che siano ancora tantissime le ragazze e le donne che portano avanti questa battaglia senza comprendere (comprendere davvero, non a mero livello concettuale) la sua effettiva portata.

Ne sono convinta perché se lo facessero, se lo facessimo tutte, inizieremmo immediatamente a lavorare per frantumare le fondamenta di questo sistema sociale, così da raderlo al suolo; e farlo non sarebbe atto esagerato, ma pienamente giustificato. Non ci ripeteremmo “ma forse sto esagerando”, rigettando ancora e ancora il nostro istinto, i limpidi segnali della nostra mente e del nostro corpo (che ogni volta ne usciranno più deboli, fino a sotterrarsi per la vergogna smettere del tutto di fare capolino, per far posto ad autorità altre), ma penseremmo “e non avete ancora visto niente!”.

C’è un grande ostacolo che si frappone tra noi e la liberazione reale. Un’altra cosa di cui tendiamo a mancare, squisitamente perché umane. Anche tante di noi sono prone a pensare – non sul comodo piano conscio, si intende – di essere al di sopra, che alcune cose non ci tocchino direttamente. Perché noi sappiamo, siamo consapevoli, abbiamo capito come funzionano le cose. E può pure darsi che sappiamo e siamo consapevoli. È sicuramente vero per alcune di noi. Ma questo non rende, e non ha mai reso, nessuna immune dagli effetti del mondo in cui viviamo. Quasi ironicamente, accettare nel modo più totale possibile la nostra completa vulnerabilità (di cui chi approfitta è pienamente a conoscenza, naturalmente) è l’unico step davvero imprescindibile per avvicinarci a quanto di più simile esista all’immunità – in ogni caso inottenibile. Prima ci facciamo i conti, meglio è.

Gli effetti dell’esposizione a contenuti sessisti e stereotipati rispetto al sesso sono stati ampiamente studiati e dimostrati. Sono noti da anni, alcuni anche da decenni.

Il fatto che, ciononostante, la situazione in cui siamo sia l’attuale, dovrebbe farci ribollire il sangue nelle vene. E dovrebbe farlo ribollire anche a qualsiasi uomo che abbia a cuore l’altra metà della popolazione (certo non ai numerosi per cui “amare le donne” significa feticizzare il corpo femminile per il proprio appagamento sessuale; che, d’altro canto, rientra nella normalità del nostro concetto di mascolinità).

Quante di voi sanno (quando parlo di sapere, intendo sapere, sentire con ogni fibra del corpo; non semplicemente conoscere a livello razionale, ‘ché quello ahinoi serve a ben poco) che non importa NIENTE che siamo consciamente a conoscenza del fatto che gli stereotipi sono costruzioni culturali, che non sia vero che le donne sono meno brave al volante, meno portate per la matematica, meno razionali, naturalmente passive e portate per prendersi cura delle altre persone, né importa che ci pensiamo capaci e sicure di noi, perché a livello inconscio gli stereotipi (e, in particolare, la cosiddetta “minaccia dello stereotipo) influenzano anche noi?

Quante di voi sanno che è sufficiente l’esposizione a breve termine a pubblicità che mostrano la donna come frivola e svampita (ossia un’enorme parte delle rappresentazioni della donna nei media e nella pubblicità…) per portare a una riduzione dell’ambizione, del desiderio di rivestire posizioni di leadership e del pensiero di esservi adatte, incoraggiando la conformità agli stereotipi?

Quante di voi sanno che l’esposizione a immagini pubblicitarie sessiste (tanto quelle facilmente riconoscibili come tali quanto, persino di più, quelle che molti/e non riconoscono come tali) incrementa la tolleranza e l’accettazione delle molestie e delle violenze sessuali (dalla minimizzazione dell’accaduto alla colpevolizzazione della vittima)?

Quante di voi sanno che l’esposizione a contenuti che oggettivano sessualmente le donne (quelli che sono letteralmente ovunque, per intenderci) ci incoraggiano all’auto-oggettivazione e conducono a un’attiva compromissione del nostro benessere fisico e psicologico, inducendo ansia, vergogna e imbarazzo, che spesso si mantengono sotto la soglia del conscio? Per non parlare di depressione, disturbi alimentari, scarsa fiducia in sé, ridotta cura della propria integrità e salute sessuale.

Quante di voi sanno che l’esposizione a contenuti che oggettivano sessualmente le donne porta gli uomini a percepirle in modo de-umanizzato ed è direttamente collegata ad attitudini a supporto della violenza contro le donne?

Metodi, gruppi e target variano, ma studi e ricerche continuano a dimostrare le stesse cose, ancora e ancora, con crescente fermezza.

Le pubblicità e, più in generale, i contenuti stereotipati e sessualmente oggettivanti delle donne trasmessi dai mezzi di comunicazione di massa sono molto più di semplici immagini. Non basta cambiare canale, perché sono ovunque. Sono per le strade, sui giornali, su Internet. E non basta neppure cercare di limitare la nostra personale esposizione, perché anche quella altrui ha effetti indiretti e diretti su di noi. Siamo in trappola. E lo siamo dalla prima infanzia.

I contenuti mediatici stereotipati e sessualmente oggettivanti delle donne sono, a tutti gli effetti, usati come armi contro di noi. Sono mani attorno al collo che ci dicono chi siamo, come dobbiamo percepirci, come dobbiamo essere (e voler essere) percepite, a cosa possiamo ambire, di cosa siamo capaci, cosa dobbiamo e possiamo volere, come dobbiamo volerlo. Sono fili appesi a braccia e gambe che si assicurano che non ci sporgiamo fuori dalla gabbia e, al contempo, ci raccontano quanto ci piaccia stare nella gabbia e avere fili appesi a braccia e gambe. E ci crediamo – anche quando non ci crediamo con la ragione.

Ogni singola pubblicità, immagine di marketing, programma televisivo o contenuto mediatico che ci mostra come oggetti in vetrina, che ci mostra come articoli di arredamento, che ci mostra come pezzi di carne sessualizzati e feticizzati è un attacco intenzionale a ognuna di noi; è uno stivale gigante che ci calpesta e ci tiene piantate al terreno – quando non riesce a spingerci anche più giù, si intende.

Alle nostre bambine, sempre più rappresentate in posa da modelle, sempre meno vestite, sempre più ammiccanti, sempre più oggetti e sempre meno persone, non stanno tarpando le ali; stanno proprio evitando che nascano, queste dannate ali. E noi dovremmo preoccuparci di esagerare, perché ce lo dicono uomini (e qualche donna) ciechi schiavi in provetta della loro cultura. Dovremmo preoccuparci di non apparire bigotte, puritane e altri termini che vengono usati per togliere potere alle nostre parole e sminuire le nostre esistenze. Ci ritroviamo disposte a sacrificare noi e le nostre bambine per non ferire un ego educato al dramma, alla tragedia, della non accettazione da parte degli altri, e in particolare degli uomini. Per restare piccole piccole, buone buone, care care, così da non dare fastidio e non fare rumore mentre ci schiacciano come mozziconi di sigarette – e sorridiamo.

Donne vanesie o casalinghe euforiche, pezzi di corpo o corpi interi sessualizzati secondo canoni pornograficamente dettati, slogan che riconducono con o senza mezzi termini all’oggettivazione sessuale femminile, bimbe in innaturali e ammiccanti pose da modelle/influencer…

Quando – presto – ne vedrete di nuovo, anche se farlo è sgradevole e pesa su cuore e mente, ricordate che non è solo marketing. Non è solo pubblicità. Non sono solo immagini. Sono attacchi, diretti e consapevoli, a ognuna di noi, a ognuna delle nostre figlie, madri, sorelle, amiche, compagne. Attacchi che il nostro presente e il nostro futuro, il nostro senso di noi stesse e quello delle altre, il nostro modo di rapportarci a donne e uomini, subiscono ogni giorno, di continuo, da più parti. Ma staremmo esagerando…

È ora di mollare l’ego e l’orgoglio che ci impediscono di accettare che non siamo in controllo come ci piace pensare di essere, è ora di mollare gli specchietti per le allodole di una pseudo-emancipazione promossa dall’altrettanto pseudo femminismo corporazionale, e di iniziare davvero a prendercelo, il controllo.

Questa è una guerra. È sempre stata una guerra. Ha solo cambiato modi e forme per rendersi più facilmente assimilabile al tessuto culturale. Alcuni degli orrori che hanno investito le vite delle nostre predecessore hanno cessato di esistere o si sono mitigati, ma i tempi moderni hanno visto la nascita di altri orrori, non meno invalidanti e dannosi. L’oggettivazione sessuale delle donne e l’educazione ai ruoli stereotipati tramite targetizzazione dei prodotti per sesso sin dall’infanzia non sono mai state a livelli elevati come nei nostri giorni. MAI. E hanno effetti devastanti.

E allora puntiamo fermi i piedi per terra. Teniamo alta la testa. Smettiamo di cedere allo sminuimento del nostro istinto, delle nostre capacità di osservazione e analisi, dei nostri sentimenti e pensieri, della nostra forza. Uno a uno, cominciamo a tagliare i fili avvolti attorno ai nostri arti e aiutiamo le altre a fare lo stesso. Siamo tutte diverse, in quel che sappiamo o ci piace fare, in quello che vogliamo, in quello che crediamo, nell’attitudine, nel pensiero politico, nella sessualità, nelle esperienze passate, in quelle presenti e certamente anche in quelle future. Ma questo riguarda ognuna di noi, nessuna esclusa, a prescindere da tutto. E allora possiamo comunque tenerci per mano, possiamo comunque sollevarci reciprocamente e possiamo comunque liberarci insieme. Quantomeno, la sottoscritta lo crede.

Stiamo esagerando? Semmai stiamo minimizzando. Stiamo ancora dormendo.
Non abbiamo neppure iniziato. Non hanno ancora visto niente.

Vi aspetto al fronte.

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